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Questo articolo è stato pubblicato il 26 maggio 2014 alle ore 10:24.
L'ultima modifica è del 26 maggio 2014 alle ore 18:10.

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Jeroen DijsselbloemJeroen Dijsselbloem

SINTRA (PORTOGALLO) - È «inevitabile» che, dopo aver messo l'accento sul consolidamento dei bilanci nazionali, l'Europa lavori con gli Stati membri per una «nuova fase che dovrà concentrarsi sulle riforme, investendo della modernizzazione dei Paesi i parlamenti nazionali. Non possiamo accettare questi bassi tassi di crescita in Europa». Lo ha detto nel pomeriggio il presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, al primo forum della Bce sul central banking, a Sintra, in Portogallo.

Dopo il consolidamento dei conti, si aprirebbe quindi per l'Eurozona una fase di taglio del carico fiscale, che dovrebbe partire dalla tassazione del lavoro, ha proseguito Dijsselbloem: «Sarebbe intelligente partire dal cuneo fiscale e dalla tassazione sul lavoro, in modo da liberare i consumi e ottenere più crescita e occupazione». Un'apertura piuttosto inedita fatta dall'ex ministro delle Finanze olandese, che segna una volontà nuova.

Dijsselbloem è anche tornato sulla questione molto dibattuta della flessibilità sul deficit. «Se un Paese fa riforme che si riflettono positivamente sul bilancio, potrebbe essere compensato attraverso maggiore flessibilità di bilancio», ha detto Dijsselbloem, precisando: «Certo, se un paese dice non guardate al mio budget, faccio le riforme l'anno prossimo, non sono sicuro che funzionerebbe».

Questa mattina, nel suo intervento, il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha intanto fatto un altro passo verso la conferma che la Bce passerà all'azione alla prossima riunione del 5 giugno e che al centro del suo intervento ci saranno misure per il rilancio del credito.

Draghi ha lanciato l'allarme sul rischio di una spirale deflazionistica fra la bassa inflazione (oggi allo 0,7% nell'eurozona), alimentata fra l'altro dall'euro forte, la caduta delle aspettative d'inflazione e il credito insufficiente.

L'80% del calo dell'inflazione dalla fine del 2011, ha detto il banchiere centrale italiano a una platea di suoi colleghi e di economisti, è spiegato dal declino dei prezzi del petrolio e degli alimentari. L'euro forte, un fattore cui la Bce ha cominciato a prestare crescente attenzione negli ultimi tempi, ha contribuito a questa tendenza. A questo si aggiungono gli aggiustamenti dei prezzi in corso nei Paesi dell'eurozona in difficoltà, alla ricerca di un recupero di competitività.

Ma, con la ripresa che, seppure molto lentamente, si sta avviando, la mancanza di credito può bloccare il rilancio delle economie sotto stress. Ricorda Draghi che a soffrire sono soprattutto le piccole e medie imprese dei Paesi della periferia, anche se si tratta di imprese sane. Un quarto di quelle spagnole e un terzo di quelle portoghesi non riescono a ottenere credito, ha osservato. «La debolezza del credito contribuisce alla debolezza dell'economia», ha sostenuto il presidente della Bce. Nei Paesi in difficoltà l'insufficienza di credito contribuisce a un terzo circa dell'attività economica perduta.

Le risposte della Bce potranno essere allora misure "mirate" per alleviare le limitazioni al credito, ha dichiarato Draghi. Queste dovranno sommarsi agli effetti benefici dell'esame delle banche che la Bce sta conducendo prima di assumerne la vigilanza e al rilancio del mercato dei titoli cartolarizzati (Abs), che possono però richiedere un po' di tempo prima di fare effetto. La Bce può fare allora da "ponte", ha spiegato Draghi, con operazioni di rifinanziamento al sistema bancario (come le iniziezioni di liquidità a lungo termine, Ltro, realizzate nel 2011-2012, ma presumibilmente condizionate alla concessione di prestiti all'economia reale) o con l'acquisto di Abs. Queste misure, ha concluso Draghi, possono ridurre il freno alla ripresa proveniente dall'insufficiente offerta di credito.

Il presidente della Bce ha citato anche la possibilità di tagli dei tassi d'interesse, per fronteggiare la forza del cambio o rialzi ingiustificati dei tassi di mercato, o di acquisti di titoli (quantitative easing), se le aspettative d'inflazione dovessero peggiorare nettamente (un'ipotesi che al momento appare meno d'attualità).

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