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Questo articolo è stato pubblicato il 15 giugno 2014 alle ore 08:12.

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L'appuntamento è fissato la prossima settimana quando si riunirà il consiglio di amministrazione di Palladio Finanziaria, il primo dopo il terremoto Mose. Una inchiesta, quella di Venezia, che ha travolto, tra gli altri, Roberto Meneguzzo, ora in carcere, che rappresenta il fondatore, guida, nonché azionista di maggioranza della stessa Palladio. E che apre a scenari del tutto inaspettati nella florida finanza del Nord est. Già perché la merchant bank vicentina, orfana del suo ideatore, rappresenta il baricentro di fragili equilibri che nel tempo si sono costruiti tra Vicenza e Milano, passando da Trieste e che chiamano in gioco storiche famiglie industriali del territorio veneto e le principali banche del Paese. In attesa che la giustizia faccia il suo corso e dia risposte certe sul coinvolgimento di Meneguzzo, sorgono due interrogativi: cosa succederà ora che l'azionista di maggioranza del salotto è fuori gioco? E quali ripercussioni potrà avere l'inchiesta sull'intreccio di partecipazioni costruito dal Nord est?
Per capirlo occorre fare un passo indietro e ricostruire la struttura di controllo di Palladio. Basta mettere in fila, uno dietro l'altro, gli azionisti della società: sebbene un solido 51% faccia capo a Roberto Meneguzzo, primo socio della finanziaria Sparta che è l'ultima società della catena, nella holding siedono anche Veneto Banca (9,90%), il coamministratore delegato di Palladio Giorgio Drago (4,37%) e le varie famiglie Ricci, Spillere, Bocchi e Bernardi. Questa finanziaria controlla un altro veicolo Pfh1, a sua volta forte al comando di Palladio con il 51%. Proprio qui, nell'azionariato di Palladio, spiccano poi Veneto Banca e Banco Popolare con quote poco sotto il 10%, Intesa Sanpaolo con il 9%, Mps con uno 0,5% e lo stesso gruppo di soci industriali che siede ai piani alti controlla direttamente un altro 21%. Completano il quadro rapporti consolidati con figure di spicco del territorio Veneto, dalla famiglia Zoppas alla Finint di Enrico Marchi e Andrea de Vido e se non fosse sufficiente, sempre con Veneto Banca, Zoppas e Amenduni, la finanziaria ha dato vita a Ferak, il veicolo utilizzato per entrare nelle Generali dove possiede il 3,5% in via diretta e indirettamente tramite la joint venture Effetti, fatta tempo fa con la Fondazione Crt e ora destinata a sciogliersi. Un azionariato di elité che, appunto, a breve troverà il primo momento «collegiale» per affrontare la questione Mose-Meneguzzo. I grandi soci di Palladio sono infatti rappresentati ai massimi livelli in cda partendo dalle banche (Vincenzo Consoli per Veneto Banca, Maurizio Faroni per il Banco Popolare, Paolo Maria Grandi per Intesa Sanpaolo). Il referente, in questa occasione, sarà naturalmente Drago, un passato in Mediobanca e solida guida della merchant bank, con cui i soci dovranno confrontarsi in primo luogo sul coinvolgimento o meno di Palladio finanziaria nell'inchiesta di Venezia. Di fatto, ad oggi, non risulta. Ma sarebbero in corso verifiche interne per approfondimenti sul tema. Sarebbe invece prematuro – si osserva negli ambienti vicini a Vicenza – pensare già a stravolgimenti del libro soci. Nel mondo veneto, però, qualcuno una idea ce l'avrebbe già, riferisce una fonte autorevole che vede proprio nelle banche gli interlocutori privilegiati destinati a prendere il posto di Meneguzzo. Tanto più che, oltre alle partecipazioni dirette nel capitale, si osserva che alcuni istituti rivestono il doppio ruolo di investitori e finanziatori. E' il caso di Veneto Banca, per esempio, che può contare oltre al 10% diretto in Palladio e un 5% indiretto, su un 20% ulteriore in garanzia dei finanziamenti erogati alla catena Pfh1.
L'«asset» Palladio, del resto, è appetibile: nel tempo la boutique guidata da Drago e Meneguzzo, ha collezionato partecipazioni pesanti. Oltre a Trieste, in asse con la Investindustrial di Bonomi si è presa la Snai, senza contare che ha riunito, fianco a fianco, in un fondo di private equity, Vei Capital, Generali e Intesa Sanpaolo, dopo essere diventata il punto di riferimento nel settore di Veneto Banca, Banco Popolare e Popolare di Vicenza. Il risultato è che oggi la merchant bank è uno snodo centrale per affari e interessi che valicano la provincia vicentina e quel Nord Est che finora ha fatto da culla alla holding. Due numeri danno una idea: la holding ha oltre 200 milioni di disponibilità liquide attraverso Vei, un patrimonio netto di gruppo di 500 milioni e asset under management di oltre un miliardo. L'ultimo bilancio del 2013 si è chiuso in perdita per 7,6 milioni, ma solo per svalutazioni prudenziali come Venice pmi ed Eta. Ma a livello patrimoniale la società è solida con un patrimonio netto di 487 milioni a fronte di una posizione finanziaria netta positiva di 18,7 milioni. I debiti, circa una cinquantina di milioni, sono solo in Pfh1. Ma la quota di controllo di Palladio li copre abbondantemente.
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