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Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2014 alle ore 22:02.

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Da promessa a minaccia. L'Iraq, che avrebbe dovuto trainare la crescita della produzione petrolifera mondiale, nel giro di pochi giorni è diventato la prima fonte di preoccupazione per il mercato. Mentre il Paese sta sprofondando nella guerra civile, ne ha preso atto anche l'Agenzia internazionale per l'energia (Aie), i cui esperti solo un paio di anni fa pronosticavano per Baghdad un ruolo di «grande potenza energetica».
Nei prossimi cinque anni, afferma ora l'Aie nel Medium Term Oil Report, circa il 60% della nuova capacità produttiva attesa dall'Opec – un incremento di 2,1 milioni di barili al giorno – dovrebbe arrivare proprio dall'Iraq, ma «considerata la precaria situazione politica e di sicurezza la previsione è carica di rischi al ribasso». L'organismo dell'Ocse ha già dato una netta sforbiciata alle stime: ora si attende che l'output di greggio iracheno raggiunga 4,3 mbg nel 2018, 470mila bg in meno di quanto pronosticava l'anno scorso, con un aumento di appena 900mila bg rispetto al picco di produzione dello scorso febbraio, un record da 35 anni, e lontanissimo dalle aspirazioni tuttora sbandierate da Baghdad: il ministro del Petrolio Abdul Kareem al-Luaibi ancora la settimana scorsa ripeteva che l'obiettivo è di arrivare a quota 8,4 mbg nel 2018.
La stessa Aie implicitamente ammette un eccesso di ottimismo: il rapporto diffuso ieri, avverte, è stato realizzato quando i guerriglieri sunniti dell'Isis (Islamic State of Iraq and the Levant) non avevano ancora scatenato l'offensiva per la conquista dell'Iraq. Il governo centrale, guidato dal sunnita Nouri al-Maliki minimizza i rischi che incombono sulle installazioni petrolifere del Paese, concentrate principalmente nel Sud. L'export da Basra, grazie al recente potenziamento delle infrastrutture portuali, continua in effetti indisturbato e a ritmi più che sostenuti, oltre 2,5 mbg.
Ma l 'avanzata dell'Isis si è ormai spinta fino a una cinquantina di chilometri a nord di Baghdad: ieri ci sono stati scontri a Baquba con oltre 40 morti. L'autonomia curda sta intanto approfittando della situazione per estendere i confini del Kurdistan iracheno: i combattenti Peshmerga hanno preso la città di Kirkuk, un obiettivo cruciale non solo politicamente e per il suo alto valore simbolico, ma anche per le enormi ricchezze di petrolio del suo sottosuolo. La produzione petrolifera del Nord dell'Iraq è comunque già dimezzata rispetto ai 650mila bg di inizio anno, perché da marzo l'oleodotto da Kirkuk a Ceyhan, in Turchia, è fermo per un sabotaggio.
I rischi maggiori per il petrolio iracheno non si profilano comunque nell'immediato, ma nei prossimi anni, quando gli investimenti stranieri – indispensabili per lo sviluppo dei giacimenti – potrebbero prosciugarsi. Già adesso le major sono in allerta: «Le operazioni continuano, ma restiamo molto vigili e il personale non essenziale per la produzione è stato evacuato», ha ammesso ieri Bob Dudley, ceo di Bp. Lo stesso si dice che stiano facendo, sia pure in sordina, anche altre compagnie. Tutti gli stranieri inoltre hanno già lasciato la raffineria di Baiji, la più grande dell'Iraq, finita in mano all'Isis.
In attesa di ulteriori tagli al ribasso delle stime sulla produzione Opec – che quasi certamente arriveranno – l'Aie continua intanto ad affidare le sue speranze allo shale oil, in Nord America e non solo: entro il 2019, prevede, 650mila bg di petrolio non convenzionale potrebbero arrivare da Paesi diversi dagli Usa, come Canada, Russia e Argentina. Gli Usa stessi ne raddoppieranno l'estrazione, fino a 5 mbg.
Quanto alla domanda globale, crescerà dell'1,3% all'anno nei prossimi 5 anni e la fatidica soglia dei 100 mbg sarà toccata per la prima volta durante il 2019. All'orizzonte tuttavia comincia a intravvedersi – anche a livello globale – il picco della domanda: «Il mercato raggiungerà un punto di inflessione – scrive l'Aie – dopodiché la crescita della domanda potrebbe iniziare a decelerare a causa del prezzo elevato del greggio, di timori per l'ambiente e della diffusione di combustibili alternativi più economici e puliti».
Twitter: @SissiBellomo
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