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Questo articolo è stato pubblicato il 24 giugno 2014 alle ore 21:12.
L'Opec è «pronta ad agire» nel caso in cui la situazione in Iraq dovesse degenerare. A meno di due settimane dal vertice in cui l'Organizzazione degli esportatori di greggio ha confermato il tetto produttivo di 30 milioni di barili al giorno, il segretario generale Abdallah al-Badri è tornato a rassicurare i mercati, sottolineando comunque che in questo momento «non c'è nessuna carenza, in nessun luogo del mondo». Dall'Iraq meridionale, ancora in mani sciite, le esportazioni di petrolio continuano in effetti indisturbate. Ma la situazione nel Paese è quanto mai precaria e la generale destabilizzazione del Medio Oriente e del Nord Africa – da cui proviene la maggior parte del petrolio dell'Opec – di certo non depone a favore di un raffreddamento del prezzo del barile. Il Brent, che la settimana scorsa era salito ai massimi da nove mesi, oltre 115 dollari al barile, continua ad essere in tensione: ieri ha chiuso a 114,46 $ (+0,3%).
«Il mercato è solo nervoso», giura al-Badri, spiegando che l'Organizzazione ha «una confortevole capacità produttiva di riserva». Di quanto – e con quanta rapidità – possa in realtà aprire i rubinetti non è chiaro. Funzionari sauditi assicurano che Riyadh, che già estrae 9,7 mbg, può arrivare se necessario a 12,5 mbg. Ma anche l'attuale livello produttivo a molti analisti sembra uno sforzo difficilmente sostenibile nel lungo periodo. E tra Libia, Siria e Iran già mancano all'appello 3 mbg di greggio.
La Cina, che da poco era diventata il maggior cliente dell'Iraq, ha intanto già cominciato a ridisegnare la mappa degli approvvigionamenti. Il dettaglio delle importazioni di maggio, reso noto ieri dalle autorità doganali, ha evidenziato che le forniture irachene sono calate del 21,1% rispetto ad aprile (benché tuttora a livelli vicini al record, a 2,3 mbg). In compenso è in forte salita l'import da Iran, Russia, Venezuela e Kuwait.
Twitter: @SissiBellomo
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