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Questo articolo è stato pubblicato il 02 luglio 2014 alle ore 06:42.
Si dovrà modificare lo statuto?
Dipende. Il concetto della public company all'anglosassone non è applicabile tout court: bisogna adattarlo alla realtà italiana. All'estero, per esempio, è possibile votare singoli candidati al board. Qui invece c'è il voto di lista che per alcuni versi è un meccanismo più garantista nei confronti delle minoranze. O, ancora, altrove il consiglio non scade tutto insieme e nulla eviterebbe di prevedere scadenze scaglionate anche qui.
L'indipendenza di Telecom è un valore? Meglio una Telecom Italia autonoma o una Telecom parte di una multinazionale?
Se la domanda è quale è la condizione migliore per fronteggiare le sfide del mercato, la risposta è che Telecom esprime la capacità di creare valore attraverso il suo brand, i clienti e soprattutto la sua capacità tecnologica. La nostra strategia è sviluppare i mercati in cui siamo presenti puntando sulla tecnologia, come prevede il piano industriale preparato dall'ad Marco Patuano. Con la tecnologia si vince: o sei capace di esprimerla o non vai da nessuna parte con chiunque ti possa accompagnare. Solo in Italia il piano Telecom prevede investimenti per 9 miliardi in tre anni, di cui 3,4 miliardi in nuove tecnologie: da qui al 2016 porteremo la copertura in fibra al 50% della popolazione e il 4G all'80%. Il mercato italiano ha espresso storicamente le più grandi innovazioni del settore, ma deve esserci sincronia con la domanda. L'Italia – è bene chiarirlo – in questo momento non ha un problema di offerta, bensì di domanda: la domanda effettiva per la banda ultralarga è solo del 12%, quando i 20-30 mega sono già disponibili per il 70% della popolazione. Noi siamo una private company: devi saper leggere bene il tuo mercato perchè non si tratta di un business sussidiato. Ma creare le condizioni perchè la domanda si sviluppi è anche compito della politica e del regolatore. Le energie rinnovabili non si sarebbero mai sviluppate senza una politica che ha indotto i privati a fare investimenti. Di una politica industriale c'è estremo bisogno in Italia, perchè sono anni che non c'è. La stessa agenda digitale è una lista di obiettivi, per la quale mancano ancora molti decreti attuativi. Un Paese, come un'azienda, deve definire le strategie per raggiungere gli obiettivi e, nel caso dello Stato, lo strumento è legislativo e regolatorio. La situazione peggiore per noi è che al rischio di mercato si aggiunga l'incertezza regolatoria. Al di là del merito, in cui non entro, rimettere in discussione le tariffe di unbundling 2010-2012, rivedendo dopo quattro anni condizioni sulle quali sono stati impostati gli investimenti, è un concetto destabilizzante per qualunque mercato.
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