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Questo articolo è stato pubblicato il 06 luglio 2014 alle ore 08:12.

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Il 20 giugno scorso Carlo Tassara ha venduto 250 milioni di titoli Intesa Sanpaolo ricavando più o meno 600 milioni di euro. In quelle stesse ore la holding di Romain Zaleski ha messo sul mercato un'altra partecipazione chiave: la quota detenuta in Mps (l'1,14% prima dell'aumento di capitale). Uscendo di fatto definitivamente dall'istituto senese. Da qualche settimana la finanziaria ha inoltre intavolato una trattativa in esclusiva per la valorizzazione del pacchetto del 15,44% detenuto in Mittel. A volere quella quota è Wedge Private Capital, fondo inglese che in Italia è rappresentato da due ex partner di Lazard, Gianfranco Ponti e Laurent Rossetti. Le quotazioni di Mittel, più o meno 1,66 euro, sono a un passo da quello che è il valore di carico della Tassara, 1,75 euro per azione, e l'operazione arriva dopo che, da inizio 2014, la holding ha venduto anche tutti i titoli Mediobanca, ricavandone circa 75 milioni, più 6 milioni di azioni Alior Bank per un controvalore di 180 milioni. In portafoglio dunque restano ancora il 26% di Alior, lo 0,4% di Intesa Sanpaolo, l'1,42% di Ubi Banca, lo 0,26% di Bpm, l'1,49% di Cattolica, il 2,53% di A2A, il 12,94% di Eramet, il 2,7% di Shougang Tech, il 2,94% di Apac Resources più gli asset non quotati, ossia Metalcam, Fvc, la centrale Terzo Salto, la banca del Gabon Bfgi Bank e la miniera Comilog.
Il recente attivismo che ha portato a una sostanziale riduzione delle partecipazioni è frutto anche della ridefinizione della governance avvenuta l'autunno scorso. In quell'occasione è stata modificata la composizione del board, con sei consiglieri indipendenti, dando di fatto maggiore potere d'azione al vertice, rappresentato in primis dal presidente, Pietro Modiano. Il risultato è che le ultime operazioni hanno completamente ridisegnato la partita doppia della società. Al punto che, dopo il forte sbilancio degli anni passati, Tassara ha, stando ai valori recenti degli asset quotati e a quelli scritti a bilancio delle altre attività, un nav negativo che viaggia attorno ai 190 milioni. Complici debiti complessivi per 800 milioni, strumenti finanziari partecipativi per 650 milioni e asset a disposizione per 1,26 miliardi, dei quali poco più di 1 miliardo riferibili a partecipazioni in aziende quotate.
A questo punto si è arrivati dopo un lungo percorso avviato nel 2008 con la prima "moratoria" strappata dalla holding ai suoi principali creditori e con l'ultimo accordo di stand still del novembre scorso. All'inizio il confronto tra passività e attività era certamente a svantaggio delle banche, complice la crisi che aveva investito oltre all'economia reale anche tutte le piazze finanziarie. Solo un anno prima, la Carlo Tassara aveva attivi per 10,4 miliardi e un indebitamento per 8,9 miliardi, accordato fondamentalmente da nove istituti (Royal Bank of Scotland, Bnp Paribas, Intesa Sanpaolo, UniCredit, Mps, Ubi, Bpm, Banca Carige e Banco Popolare). Oggi, rispetto ad allora, l'attivo è stato fortemente ridimensionato, con una riduzione di 9,1 miliardi, ma anche l'esposizione è stata tagliata sensibilmente con un calo di 7,45 miliardi.
Come si chiuderà dunque la partita? Oggi non è possibile dirlo. Molto dipenderà dai futuri corsi azionari e dalla strategia che verrà utilizzata per valorizzare il portafoglio restante. Ubi, Bpm e Cattolica sono titoli generalmente poco liquidi per cui è immaginabile che la holding procederà con cautela. Eramet, invece, sarà probabilmente uno degli ultimi asset che verrà messo sul mercato, complice il fatto che in questi anni ha sempre garantito una certa soddisfazione. Lo stesso vale per Alior Bank, attività sviluppata nel 2007 e che fino ad oggi ha creato valore per 500 milioni. Carlo Tassara detiene ancora un 26% della società, un pacchetto che in Borsa oggi viene valorizzato poco meno di 350 milioni.
Sulla carta, dunque, potrebbero esserci i presupposti perché la partita tra le banche e Zaleski si chiuda con un bilancio decisamente diverso rispetto a quelli che erano i presupposti. Come detto, ciò a patto che la Borsa non rallenti la sua ascesa. In ogni caso, già oggi l'87% del debito iniziale è stato rimborsato. Una cifra diversa da quelle che circolano negli ultimi concordati fallimentari dove si può ambire al massimo a un 30% del debito ripagato.
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