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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2014 alle ore 08:13.
L'ultima modifica è del 31 agosto 2014 alle ore 13:46.
PARIGI. Dal nostro corrispondente
Con la cessione della controllata brasiliana Gvt a Telefonica, Vivendi ha centrato tutti gli obiettivi che si era posta. Finanziari, con altri 4,6 miliardi di cash che entrano nelle casse del gruppo. E strategici, per una società che intende diventare un colosso mondiale integrato: con l'8% di Telefonica Brasil (che ha un terzo di un mercato in forte crescita), il 6% (l'8,3% dei diritti di voto) di Telecom Italia (che garantisce l'ingresso sul mercato italiano) e una partnership industriale con gli spagnoli che apre prospettive molto interessanti.
Oltre a Spagna e Brasile, Telefonica è infatti presente in 13 Paesi dell'America Latina, in Germania e in Gran Bretagna, con circa 310 milioni di abbonati (e ha appena rilevato il 22% di Digital+, la pay tv di Mediaset). Una manna per chi, come Bolloré, ha deciso di scommettere sulle telecomunicazioni come settore cruciale per la distribuzione dei contenuti prodotti da Vivendi.
Quelli di Universal Music, leader mondiale del settore con il 30% del mercato e numero uno negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Europa, in Giappone e in Cina. E soprattutto quelli di Canal+, numero uno della pay tv in Francia, presente nell'Africa francofona con A+, in Polonia e in Vietnam, con la controllata Studiocanal che è ormai un attore europeo di primo piano nella produzione e commercializzazione di film e serie tv.
Il predecessore di Bolloré, Jean-René Fourtou, credeva in una strategia tutta incentrata sui media. Bolloré pensa invece che la strada giusta sia quella di un rafforzamento del core business, quello cioè della produzione di contenuti, tenendo però un piede nel settore delle telecom, per poterli distribuire in maniera sempre più efficace.
Da un lato Vivendi lavorerà sulla crescita di Canal+, per farla diventare un protagonista in Europa e poi nel mondo. Ma anche sulla crescita esterna, con acquisizioni di tv, in particolare di pay tv, in Europa (Spagna e Italia in primis) e nei Paesi emergenti.
Dall'altro lato costruirà una vera e propria ragnatela di partecipazioni di minoranza nei gruppi di telecomunicazioni, piattaforme formidabili di distribuzione. Operazione già iniziata con la decisione di conservare il 20% del nuovo gruppo che nascerà dalla fusione di Sfr e Numericable. E che continua appunto con Telefonica (e Telecom Italia in subordine).
Le risorse finanziarie certo non mancano. Grazie alle cessioni di Maroc Telecom (4,1 miliardi), Activision Blizzard (6,6 miliardi), Sfr (12 miliardi) e Gvt, Vivendi passerà (in un anno e mezzo) da 17 miliardi di debiti a una tesoreria positiva per oltre 10 miliardi. Anche una volta dedotti i generosi dividendi straordinari (circa 5 miliardi), rimarrà un tesoretto mica male. Senza contare che con questi tassi il gruppo non ha alcun interesse ad azzerare i debiti.
E' quindi molto probabile che già a partire dal 2015, una volta chiuse definitivamente le partite Sfr e Gvt, assisteremo a una vera e propria campagna acquisti di Vivendi. Nel settore dei media e dei contenuti con delle partecipazioni di controllo. E in quello delle telecomunicazioni con delle quote magari importanti ma di minoranza. Com'è appunto il caso di Telecom Italia.
A meno che Bolloré non decida addirittura di accelerare e partire già in autunno. Le linee di credito non gli mancano. E neppure il credito. Da quando è entrato in Vivendi, acquisendone il 5% con l'apporto delle sue due tv, il titolo è salito del 30 per cento. Gli azionisti e il mercato salutano ancora una volta la capacità dell'imprenditore bretone - che venerdì ha presentato le semestrali della sua scuderia - di trasformare in oro quasi tutto quello che tocca.
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