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Questo articolo è stato pubblicato il 04 settembre 2014 alle ore 08:13.
L'ultima modifica è del 04 settembre 2014 alle ore 13:42.

L'attesa di essere delusi. Questo è l'atteggiamento di investitori e analisti per la riunione di settembre della Banca centrale europea: molto ci sarebbe da fare, dopo i recenti dati economici e le ammissioni del presidente Mario Draghi, ma poco o nulla, con tutta probabilità sarà fatto.
Il peggioramento dell'economia
La situazione economica di Eurolandia appare ora peggiore, rispetto alla riunione di agosto. Il prodotto interno lordo dell'Unione è rimasta ferma, dopo la flessione registrata dall'Italia (-0,2%) e, a sorpresa, dalla Germania (+0,3%). L'inflazione è calata allo 0,3%, un livello molto basso, sia pure per un effetto principalmente statistico: tra luglio e settembre 2013, il greggio era rincarato e, al confronto, i prezzi degli stessi mesi di quest'anno appaiono decisamente più bassi. Soprattutto, dal punto di vista della valutazione della politica monetaria, sono peggiorate le aspettative sull'inflazione: alla fine di agosto, a Jackson Hole, Mario Draghi – allontanandosi dal discorso scritto per il Simposio organizzato dalla Fed di Kansas City - ha ammesso che si sono abbassate su tutte le scadenze. In questa situazione la correzione al ribasso delle proiezioni di settembre su inflazione e crescita per il 2014 e il 2015 è praticamente scontata.
L'ipotesi di un taglio dei tassi
Un quadro del genere richiederebbe interventi molto incisivi. Questa è l'opinione di molti analisti, i quali però si aspettano – in maggioranza – un nulla di fatto. Abbassare i tassi sembra impraticabile: il tasso di riferimento ha raggiunto il fondo, potrebbe in teoria scendere dall'attuale 0,15% fino a zero, ma per ragioni tecniche nessuna banca centrale lo ha fatto. La JPMorgan immagina comunque che possa scendere allo 0,05%, allo scopo principale di portare il tasso sui depositi, oggi al -0,10%, fino allo 0,20%.
L'Eonia in territorio negativo
La mossa non avrebbe molto effetto: l'Eonia, il tasso di mercato a 24 ore che dovrebbe muoversi intorno al tasso di riferimento, è in questi giorni negativo. Non tanto – come pure si è detto – per l'aspettativa di una nuova mossa della Bce, quanto per la volontà delle banche di "scegliersi il cliente". Costrette a prestare la liquidità in eccesso dalle regole sul settore, le aziende di credito sono spaventate dal fornire credito a molte concorrenti – soprattutto quelle dei paesi periferici – per timore che gli esami della Bce, l'Asset quality review, possa farne emergere difficoltà finora nascoste. Prestano allora alle banche più solide, pagando per il servizio.
I vincoli al quantitative easing
Per lo stesso motivo, la Bce trova difficile effettuare un vero quantitative easing (Qe), l'acquisto sul mercato dei titoli di Stato. A parte la mancanza di un consenso all'interno del board e nella stessa Eurolandia, una simile strategia premierebbe le banche che sono state finora meno prudenti: potrebbero risanare i bilanci vendendo titoli alla Banca centrale. A giugno la Bce ha poi lanciato le nuove iniezioni di liquidità Tltro, per finanziare esclusivamente i prestiti alle aziende. La prima operazione avverrà tra pochi giorni, e la Bce ha finora annunciato di voler esaminare non tanto i risultati, quanto gli effetti sull'economia. Occorrerà tempo, come occorrerà tempo per lanciare davvero gli acquisti di Abs, i derivati che "impacchettano" i prestiti alle piccole e medie imprese, di cui pure potrebbe parlare. Le ultime indiscrezioni indicano comunque possibile il lancio, non necessariamente immediato, di un piano da 500 miliardi, destinato però sia gli Abs che ai Covered Bond, in sostanza i Pfandbriefe tedeschi.
Il dialogo con la Germania
L'unica attesa che potrebbe essere esaudita riguarda il dialogo a distanza tra Draghi e i politici tedeschi sul rigore. Draghi, a Jackson Hole, ha auspicato una politica fiscale più flessibile – sia pure all'interno delle regole Ue – e, soprattutto, un piano di investimenti pubblici da affidare a Bruxelles. La politica monetaria ha infatti bisogno della politica fiscale per sostenere la domanda, e un rispetto rigido del ritorno al pareggio, in una situazione recessiva, non può che peggiorare le cose. La Germania è riuscita nel 2013, per la prima volta dal 1950, ad abbassare il suo debito pubblico, e – sulla spinta anche della sua opinione pubblica – vuole proseguire su questa strada anche se la sua economia perde colpi.
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