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Questo articolo è stato pubblicato il 19 settembre 2014 alle ore 06:37.
L'ultima modifica è del 19 settembre 2014 alle ore 09:16.
Si aprono i lucchetti del patto di sindacato di Sintonia, la holding controllata dalla famiglia Benetton e partecipata da Mediobanca, Goldman Sachs e Gic (Governo di Singapore) a cui fa capo il controllo di Atlantia (45,56%). Tra poco più di un mese, il 21 ottobre, si aprirà formalmente il termine per inviare le disdette al patto di sindacato, che scade la prossima primavera. Due mesi di tempo (le missive dovranno essere inviate entro il 21 dicembre), dunque, per decidere se proseguire nell'alleanza o no.
Il tema è assai delicato perché in ballo c'è il futuro assetto azionario di Atlantia.
La questione, secondo quanto si apprende, non sarebbe stata ancora affrontata in modo formale e concreto dai grandi azionisti della holding. Ma ciascun socio sta facendo le proprie valutazioni. Tant'è che negli ambienti vicini al dossier si ipotizzano anche alcuni scenari. Uno su tutti, che si vada verso il rinnovo del patto, ma con alcune modifiche. Un riferimento, quest'ultimo, alla durata dell'accordo, finora fissata in tre anni. L'argomento sarà ovviamente oggetto di discussione nelle prossime settimane ma tra le valutazioni che sarebbero attualmente in corso figurerebbe anche l'ipotesi di ridurre la durata del patto a un anno.
La natura (e le esigenze) dei grandi soci di Sintonia, del resto, non sono omogenee. Perché se da un lato c'è la famiglia Benetton e Singapore più interessati a una strategia industriale di lungo periodo, dall'altro ci sono partner finanziari come Goldman Sachs e Mediobanca che potrebbero privilegiare una maggiore flessibilità sul pacchetto azionario di loro competenza. Detto ciò, sembra che l'orientamento allo stato attuale, e salvo colpi di scena, sia quello di rimettere il sigillo al patto, anche se con modalità nuove che saranno oggetto di discussione tra i grandi azionisti.
La maxi fusione tra Atlantia e Gemina-Adr, del resto, ha ridisegnato anche la mission della holding. Il punto è che il progetto originario della holding è, nella sostanza, fallito. Nata per fare investimenti internazionali nel settore delle infrastrutture e sostenere una crescita dimensionale dei propri asset, Sintonia ha dovuto nel corso del suo percorso scontrarsi con una crisi congiunturale assai complessa e non prevedibile. Da qui la scelta di spostare la sede della società dal Lussemburgo all'Italia, un passaggio simbolico ma che nei fatti è l'ammissione di un ripensamento della strategia, oggi focalizzata solo sulla gestione dell'unico asset italiano in portafoglio, ovvero Atlantia (45,56%), a cui fa capo, dopo la maxi aggregazione perfezionata lo scorso anno, da un lato Autostrade per l'Italia e dall'altro Aeroporti di Roma. Il nuovo assetto societario vede quindi una holding, non quotata, controllare una società quotata a cui fanno capo due differenti business. Tale schema si sposa con quel maxi progetto di integrazione tra autostrade e aeroporti tanto voluto dai soci della holding.
Fin qui il fronte più industriale. Sullo sfondo la struttura finanziaria. Lo scorso anno è stata completata la girandola di ricapitalizzazioni che era stata prevista nell'ambito dei patti parasociali. In particolare, l'ultimo aumento, perfezionato agli inizi del 2013, è stato fatto da Singapore: 221 milioni che hanno portato il partner estero a detenere il 17,68% di Sintonia. Con quest'ultima operazione l'importo investito dagli azionisti finanziari di Sintonia ha raggiunto i 2 miliardi, di cui 336 milioni investiti da Mediobanca, 700 milioni da parte di Goldman Sachs e un miliardo da Singapore. A fronte di ciò oggi Sintonia ha in pancia un asset, Atlantia appunto, che vale 16 miliardi in Borsa. Dunque il 45,54% di Sintonia sfiora i 7,3 miliardi. Il tutto si confronta con un debito che sta progressivamente andando in riduzione. Alla fine del 2013 il debito netto era di 480 milioni circa. Oggi, secondo quanto si apprende, sarebbe già intorno ai 400 milioni, con l'obiettivo di ridurlo ancora nel corso del prossimo anno.
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