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Questo articolo è stato pubblicato il 26 settembre 2014 alle ore 21:39.
L'ultima modifica è del 27 settembre 2014 alle ore 09:28.

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L'ostinata discesa delle quotazioni del petrolio sta sollevando un nervosismo crescente tra i produttori: dalle compagnie petrolifere, che cominciano ad abbandonare i progetti più costosi (Statoil ha appena rinviato lo sviluppo di un deposito di sabbie bituminose in Canada), alla Russia – sull'orlo della recessione e con il rublo ai minimi storici – fino all'Opec, che ormai fatica a nascondere dietro le quinte i contrasti.
«Considerata la tendenza ribassista dei prezzi – ha dichiarato il ministro iraniano del Petrolio, Bijan Zanganeh – i membri dell'Opec dovrebbero cercare di moderare la produzione per evitare ulteriore instabilità».

Parole misurate, che in sostanza rappresentano però un appello a chiudere i rubinetti, quanto meno in via informale, se non con un «taglio» ufficiale dei limiti di produzione, che potrebbe essere rinviato al vertice del 27 novembre. Solo la settimana scorsa c'era stata l'inusuale presa di posizione del segretario generale dell'Organizzazione degli esportatori di greggio, Abdallah El Badri, che aveva evidenziato la necessità di ridurre il tetto produttivo dagli attuali 30 a 29,5 milioni di barili al giorno (si veda Il Sole 24 Ore del 17 settembre).

Dall'Arabia Saudita e dagli altri Paesi del Golfo persico – meno fragili finanziariamente di fronte alla caduta del greggio – avevano gettato acqua sul fuoco. Ma le quotazioni del barile si fanno ogni giorno più basse. Il Brent, che in giugno aveva superato 115 dollari, mercoledì è sceso fino a 95,60 $, il minimo da due anni, e continua a scambiare intorno a 96 $, indifferente alle tensioni geopolitiche, alla forte crescita del Pil Usa (corretta a +4,6% nel secondo trimestre) e anche agli appelli di Zanganeh. Il paniere dei greggi Opec, quello a cui l'Organizzazione fa riferimento quando parla di prezzi, è ancora più debole: a 94,18 $ è sceso al livello più basso da luglio 2012, e dallo scorso 4 settembre si è sempre mantenuto sotto 100 $, soglia che in modo più o meno velato l'Opec ha spesso suggerito di voler difendere.

Di fronte al quadro scoraggiante dei fondamentali – con un enorme eccesso di offerta soprattutto nel bacino Atlantico e la produzione libica quadruplicata dalla prima vera scorsa (a 925mila bg) – ora sarebbe il momento sarebbe il momento di agire. I sauditi, che in agosto hanno ridotto la produzione di 400mila bg (a 9,6 mbg), non sembrano però disposti a spingersi oltre. Mentre Kuwait ed Emirati Arabi Uniti hanno addirittura aumentato le estrazioni di greggio.

twitter.com/SissiBellomo

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