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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2014 alle ore 22:29.

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L'Italia ha ricevuto per la prima volta nella storia un carico di petrolio dagli Stati Uniti. È successo in luglio, tre mesi prima dell'arrivo in Sardegna – previsto a giorni – della prima petroliera dal Canada. A certificare l'evento è l'Energy Information Administration (Eia), in pratica il governo Usa, che nelle ultime statistiche ufficiali registra un'esportazione di 423mila barili verso il nostro Paese, la prima in assoluto nelle serie storiche che risalgono al 1920.

Si tratta solo di una goccia, nel mare degli scambi mondiali di petrolio. Inoltre quasi di certo non si tratta di greggio estratto negli Usa, ma di riesportazioni, per cui Washington talvolta concede via libera: anche questo, insomma, potrebbe essere greggio canadese. Ma l'export Usa sta comunque crescendo a ritmi strabilianti: la stessa Eia mostra che in totale ha raggiunto 12,4 milioni di barili in luglio, ossia 401mila barili al giorno, appena 54mila sotto il record storico di marzo 1957. Per il 93% il petrolio è finito in Canada, dove l'autorizzazione ad esportare è semiautomatica. Ma oltre all'Italia hanno ricevuto carichi anche la Svizzera e Singapore, Paesi dove hanno sede molte società di trading di materie prime.

Il miracolo dello shale oil ha spinto la produzione petrolifera degli Usa a livelli tali da rivaleggiare con l'Arabia Saudita: se oltre al greggio vero e proprio si contano anche i cosiddetti Natural gas liquids (Ngl), combustibili come etano e propano, che si estraggono insieme al gas, tra Washington e Riyadh è ormai un testa a testa. In giugno e poi di nuovo in agosto i due Paesi erano entrambi intorno a 11,5 mbg, secondo l'Agenzia internazionale per l'energia. E già questo mese potremmo assistere al sorpasso, il primo dal 1991: una svolta storica che gli analisti preannunciano da tempo, ma che è stata accelerata dalla recente riduzione dell'output da parte di Riyadh (i sauditi, a differenza degli americani, mantengono inutilizzata una parte della capacità produttiva e questa oggi ammonta a circa 2,5 mbg).

Il ritmo di crescita dell'export – quadruplicato in un anno – è però qualcosa che in pochi si aspettavano, considerato che il divieto di esportare greggio è ancora in vigore e non sembra vicino ad essere abolito. Facendo leva sulle eccezioni, tuttavia, le cose stanno cambiando. Il dipartimento del Commercio in giugno ha concesso a due società, Pioneer e Enterprise Products, di esportare condensati dopo una leggera lavorazione. E la settimana scorsa per la prima volta da dieci anni una petroliera ha lasciato l'Alaska con un carico di greggio da esportare: si tratta della Polar Discovery, diretta in Corea del Sud con 800mila barili di Alaska North Slope (Ans), una qualità di greggio che fin dal 1996 la Casa Bianca, con l'allora presidente Bill Clinton, aveva concesso di esportare, ma che dal 2004 non era più uscita dagli Usa. Con l'attuale abbondanza di petrolio, al mercato domestico l'Ans non interessa più e all'estero si spuntano prezzi migliori.

Molte altre petroliere seguiranno la rotta della Polar Discovery, scommette Ed Morse, head of commodities research di Citigoup: «Saranno un'armata e l'export di Ans dovrebbe raggiungere livelli sostenibili di 100mila bg o più». Sommati a tutto il resto, Citi pensa che spingeranno l'export Usa a un milione di barili al giorno entro metà 2015.

twitter.com/SissiBellomo

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