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Questo articolo è stato pubblicato il 09 ottobre 2014 alle ore 20:57.
A pochi giorni dal crollo sotto quota 1.200 dollari, l'oro è tornato a brillare, superando 1.230 dollari l'oncia. A rimetterlo in luce è stata soprattutto la Federal Reserve, che dalle minute del comitato monetario è sembrata meno determinata di quanto si credesse a rialzare in fretta il costo del denaro.
Ci si è poi messa anche Christine Lagarde, direttrice del Fondo monetario internazionale, invocando di nuovo l’avvio di un'operazione di quantitive easing da parte della Banca centrale europea e sventolando lo spettro di un ritorno in recessione dell'Eurozona, un evento - ha detto - «possibile al 35-40%». Nel generale ritorno dei mercati alla modalità risk-off, che ha penalizzato i listini azionari, gli acquisti di oro sono stati ulteriormente incoraggiati. Ma le quotazioni del metallo giallo avevano già iniziato a risalire la china lunedì e quattro sedute consecutive di recupero (con un rialzo totale di circa il 4%) sono il rally più lungo che l’oro sia riuscito a mettere a segno da giugno.
Il lingotto si era deprezzato dell’8,4% nel terzo trimestre e il 6 ottobre era sceso fino a 1.183,46 dollari l’oncia, il minimo da 15 mesi. Oggi è riuscito ad arrivare fino a un picco di 1.233,20 dollari, livello che non toccava dal 23 settembre, per poi assestarsi intorno a 1.225 dollari. I dati sull’occupazione statunitense, di nuovo migliori del previsto, sembrano incoraggiare una stretta monetaria da parte della Fed, ma molti banchieri - è emerso dalle minute - sono preoccupati per la debolezza della crescita in Europa e Asia, che potrebbe avere ripercussioni sull’export e dunque sull’economia Usa. I banchieri della Fed hanno anche sollevato timori sui possibili danni derivanti da un eccessivo rafforzamento del dollaro.
twitter.com/SissiBellomo
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