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Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2014 alle ore 16:19.
L'ultima modifica è del 10 ottobre 2014 alle ore 23:13.

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Petrolio in picchiata. I prezzi del Light crude Usa e del Brent scendono ai minimi dal dicembre 2010, per il rallentamento della domanda mondiale e per il timore di una guerra dei prezzi all'interno dell'Opec. I future sul Light crude arretrano di 1,57 dollari a 84,20 dollari, dopo un minimo di 83,59 dollari, mentre quelli sul Brent calano di 1,04 dollari a 89,01 dollari dopo un minimo di 88,11 dollari (guarda i grafici). Nel pomeriggio il recupero che ha fatto chiudere quasi invariato il Brent ma non cancella la sua debolezza di fondo.

Mercato da «orsi»
Gli analisti parlano ormai apertamente di “bear market”, un mercato ribassista, dopo che le quotazioni sono scese del 20% dal giugno scorso. Dietro al crollo dei prezzi c’è da un lato la frenata della domanda globale, dovuta al rallentamento della Cina e alla crescente indipendenza energetica degli Stati Uniti, dall’altro un aumento dell’offerta da parte dell’Opec. All’interno del cartello si sta infatti materializzando una vera e propria guerra dei prezzi, con Arabia Saudita e Iran impegnati in una corsa al ribasso dei listini per accaparrarsi i compratori asiatici. Una lotta per guadagnare quote di mercato che sta facendo scivolare i prezzi.

Opec, produzione in aumento
I dati forniti oggi dalla stessa Opec rivelano che la produzione del cartello è aumentata in settembre di 402mila barili al giorno e ha raggiunto quota 30,47 milioni di barili, il livello più alto da un anno. I maggiori aumenti sono arrivati da Iraq e Libia.

Tagliate le stime sulla domanda mondiale
«È un’ondata di vendite massiccia - commenta Thina Saltvedt, analista di Nordea - Non ci sono elementi che fanno pensare a un prossimo rialzo dei prezzi. Il mercato asiatico è inondato di petrolio e ci sono segnali sempre più evidenti che l’Opec è diviso al suo interno». Si aggiunga il rallentamento dell’economia mondiale, appena certificato dal Fondo monetario internazionale, e il quadro è completo: l’Agenzia internazionale dell’energia ha infatti tagliato le sue stime sulla domanda mondiale sia per quest’anno che per il prossimo.

Negli Usa produzione ai massimi dal 1986
Intanto la produzione di petrolio negli Stati Uniti, grazie alla rivoluzione dello shale, è salita la scorsa settimana a 8,88 milioni di barili al giorno, il livello più alto dal marzo del 1986. Il boom del greggio americano si accompagna a quello del gas, con gli Stati Uniti che si candidano ormai a diventare un esportatore netto. Anche dagli Usa dunque è in arrivo nuova offerta di greggio, mentre la domanda internazionale frena.


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