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Questo articolo è stato pubblicato il 04 novembre 2014 alle ore 07:56.
L'ultima modifica è del 04 novembre 2014 alle ore 12:59.

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Hanno capitale che a malapena copre il 3-4% dell'intero bilancio. E muovono, ciascuna di loro, centinaia di miliardi su titoli, derivati, futures e qualsiasi diavoleria dell'ingegneria finanziaria. Sono le grandi banche d'affari del Nord Europa, tutte promosse a pieni voti dai recenti esami dell'Eba e della Bce.

Eppure i loro attivi pesati per il rischio (Rwa) e su cui si calcola il fabbisogno di capitale sono tra i più bassi d'Europa. Ma come? Un colosso come Deutsche Bank investe in attività finanziarie oltre 1.000 miliardi, poco meno del Pil italiano, e il suo grado di rischio è ritenuto più sostenibile di una piccola banca commerciale del Sud Europa che fa prevalentemente credito? Un paradosso, visto così. Tutto dipende dal fatto che le attività valutate non sono l'intero bilancio ma solo gli Rwa. Ebbene le grandi banche d'affari hanno attivi a rischio che valgono solo il 20-30% dei loro immensi bilanci. Al contrario le banche commerciali dedite al credito (tipiche del Sud Europa) hanno Rwa che superano il 50-60% dei loro più piccoli bilanci. E così è aritmetico, ma anche bizzarro, che occorra più capitale alle banche esposte al credito che non al trading finanziario. Da un lato è evidente che il credito sia l'attività più a rischio per una banca, ma possibile che i rischi di mercato sui titoli, i derivati, le cartolarizzazioni siano così bassi? Invece è così: nella composizione degli Rwa il credito pesa per l'80%, mentre i rischi di mercato sono al 6% e quelli operativi all'11%.

Detta così non sorprende che le grandi banche d'investimento abbiano Rwa così bassi e quindi capitale richiesto, in proporzione, altrettanto limitato. Qualche esempio? Deutsche Bank si è presentata agli esami con un Rwa di soli 353 miliardi, appena il 22% del suo bilancio che valeva, a fine 2013, ben 1.580 miliardi. La Commerbank con 215 miliardi di Rwa, il 38% del suo bilancio. La Landesbank di Berlino avrebbe solo 31 miliardi di esposizioni a rischio su 101 miliardi. Il colosso francese SocGen è stato scrutinato su soli 343 miliardi su un bilancio di 1.141 miliardi; per Credit Agricole l'Rwa è appena il 40% del bilancio. Tanto per un confronto i due big italiani, UniCredit ed Intesa, avevano Rwa per 408 miliardi la prima e per 284 miliardi la seconda. UniCredit è la metà di Deutsche Bank ma vanta attivi a rischio più alti. Intesa ha un attivo a rischio che vale quasi il 60% del suo bilancio contro il 22% di Deutsche. Possibile che sia più pericolosa in termini di choc sistemico, Intesa che pur ha eccedenza di capitale per oltre 10 miliardi che non il gigante tedesco? Solo esempi ma che valgono per tutte a demarcare una minor rischiosità presunta per le grandi banche d'investimento piuttosto per chi ha come core business l'erogazione del credito.

E qui le perplessità aumentano. Il credito e (in Italia e Grecia) l'alto livello delle sofferenze alzano gli Rwa e di conseguenza la necessità di maggior capitale, ma le grandi banche d'affari hanno di contro più alti rischi di mercato sui loro immensi portafogli pieni di Bund, ma anche di azioni, strutturati, Cds, derivati e futures.
Solo Deutsche ha titoli illiquidi (livello 3) cioè senza un prezzo di mercato che a fine 2013 erano di 30 miliardi a fronte di capitale per 47 miliardi. Certo l'esame della Eba e della Bce ha guardato anche ai livelli 3, ma Deutsche ha passato lo stesso l'esame. Quei 30 miliardi di titoli illiquidi da chi sono valutati, non avendo un prezzo di mercato? E anche quelle centinaia di miliardi di strutturati e derivati chi li valuta? La risposta è tanto semplice quanto sconcertante. È la stessa banca (vale per Deutsche come per tutte le grandi banche d'investimento) che auto-valuta i suoi rischi di portafoglio con un modello interno che viene validato dalla banca centrale del suo Paese. Vien da pensare che né la Bundesbank né la Banca centrale di Francia vogliano essere particolarmente occhiute in questa circostanza. Penalizzare le grandi banche d'affari e un sistema bancario che vale per entrambe tre volte il Pil di casa, vorrebbe dire far male al Paese. Un'interpretazione maligna? Sarà. Ma la nuova Unione bancaria dovrà in qualche modo provvedere a rendere meno arbitrario il calcolo del rischio.

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