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Questo articolo è stato pubblicato il 05 novembre 2014 alle ore 08:09.

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«Unipol non si riconosce e non si sente rappresentata nell'Ania attuale». Il giudizio è netto e non ammette appelli. A formularlo è Carlo Cimbri, ceo del Gruppo Unipol, che ha deciso di condividere con Il Sole 24 Ore l'amarezza di una scelta irrevocabile: «Dopo il consiglio di amministrazione della trimestrale, convocato per il prossimo 13 novembre, formalizzeremo la decisione di uscire dall'Associazione».

La scelta ha certamente dell'epocale poiché porta al di fuori del perimetro dell'Ania una compagnia che vale un terzo del mercato danni del paese. Una compagnia che è a un passo, in termini di portafoglio premi, dalle Generali e da Intesa Sanpaolo Vita. «Ma - assicura Cimbri - non poteva essere altrimenti. In questi mesi abbiamo cercato di imprimere una spinta riformista a un organo ormai trasformatosi in una sorta di club autoreferenziale. Le nostre perplessità e le nostre proposte, quando avanzate ai rappresentanti dell'Associazione, sono cadute nel vuoto». A Unipol, dunque, non restava che un'opzione: abbandonare un'associazione che non ritiene più «adeguata ai tempi che cambiano».

Quali sono le ragioni che vi hanno spinto a una scelta così radicale?
Il mercato assicurativo non è percepito per quello che rappresenta o potrebbe rappresentare nell'economia italiana e questo è colpa, in gran parte, di noi assicuratori. Perché il settore diventi effettivamente protagonista è necessario poter contare su un organo di rappresentanza, l'Ania, che sia attivo, propositivo e partecipe. Non un ente che si limiti a giocare di rimessa, con una politica sostanzialmente conservatrice.
L'Ania in questi anni ha combattuto molte battaglie...
Sì, ma io guardo al futuro. E per poter essere davvero attiva, l'associazione dovrebbe avere una capacità di rappresentanza che nella conformazione attuale non riteniamo realizzabile.

È una questione di governance?
Certamente sì, è un tema di governance. Unipol non sta esprimendo alcuna valutazione negativa sulla struttura tecnica dell'Ania.
Che cosa non funziona quindi, a suo parere, dell'organizzazione attuale?
Ania oggi funziona con un comitato esecutivo composto di 30 membri. Dieci, da statuto, spettano alle cinque compagnie più grandi, 14, ossia uno ciascuno ai gruppi che occupano dalla sesta alle 19esima posizione, e i restanti 6 li nominano le società più piccole. Ma al di là della composizione ciò che preme è il numero dei membri del comitato. Come può un organismo esecutivo essere composto da 30 soggetti? È un assemblea, non un comitato. E infatti in quelle riunioni si dibatte del più e del meno ma non si forma una volontà ragionata sulle necessità del settore.

Vorrebbe un'Ania riservata ai grandi gruppi?
No, il contrario. Rappresentando un gruppo importante sentiamo maggiormente l'esigenza di partecipare ad un'Associazione forte nei contenuti e realmente rappresentativa del settore. A tale fine riteniamo necessario un comitato esecutivo con meno persone e più proposte.

Ne fa una questione anche di guida operativa? È un atto di sfiducia all'attuale presidenza?
Riteniamo che il governo dell'Ania debba essere affidato a personalità autorevoli, capaci di interloquire con le autorità italiane e con quelle internazionali, con le istituzioni e i decisori politici e di fare adeguata sintesi fra le diverse anime del settore. Si potrebbe anche pensare di scegliere una figura esterna al mondo assicurativo anche per dare un segnale che l'Ania non è solo sinonimo di difesa di interessi corporativi. Ci piacerebbe un'Ania che sappia proporre, comunicare e farsi ascoltare.

Unipol non poteva provare a promuovere dall'interno questo cambiamento invece che optare per una scelta così netta?
In questi mesi di confronto abbiamo rilevato che non c'è la volontà dell'Associazione di autoriformarsi al proprio interno.

Quando lascerete dunque l'Ania?
Dopo il consiglio di amministrazione del prossimo 13 novembre formalizzeremo la nostra uscita.

È possibile un ripensamento?
No, è una decisione già maturata. Anche dopo l'uscita dall'Ania continueremo comunque ad applicare ai nostri dipendenti il contratto nazionale collettivo di lavoro ma non parteciperemo più alla vita dell'Associazione.
Ma quali sono i temi di cui Ania avrebbe dovuto occuparsi e che non ha portato avanti?
Non si tratta di non aver saputo individuare temi chiave per il settore, che sono noti. Penso alla sanità, ai rischi catastrofali, alla previdenza, agli investimenti infrastrutturali, oltre ovviamente all'Rc Auto. Si tratta piuttosto di domandarsi se l'Ania nella sua conformazione attuale sia un interlocutore incisivo ed efficace. Noi pensiamo di no.
Siete soli in questa battaglia contro l'Ania o il malcontento serpeggia anche al vertice di altre compagnie?

Questa non è una battaglia contro qualcuno ma piuttosto una valutazione autonoma di Unipol che non coinvolge altre compagnie. È Unipol che non ritiene sensato avallare uno status quo che non condivide.

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