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Questo articolo è stato pubblicato il 10 novembre 2014 alle ore 13:49.

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L'apprezzamento del dollaro, se ha avuto un effetto negativo sulle monete emergenti in generale, non ha lasciato indenne neppure alcune valute del Vecchio continente dove all'effetto del biglietto verde si aggiungono altri fattori. Nell'occhio del ciclone c'è innanzitutto il rublo il cui indebolimento prosegue da diversi mesi per via delle sanzioni imposte alla Russia in conseguenza al conflitto ucraino. Da inizio anno l'Msci Russia perde il 24%, il rublo si è deprezzato del 20,5% contro l'euro (nonostante le misure attuate dalla Banca Centrale Russa) e il Cds russo a cinque anni è salito da 165 a 246 (dati al 29 ottobre).

«Le reazioni non sono mancate nemmeno dalle agenzie di rating – spiega Alida Carcano, a capo di Valeur Investment, società di asset management indipendente con sede a Lugano – con il downgrade del debito sovrano russo da parte di S&P a BBB. Stessa sorte è toccata ai titoli corporate (per Moodys il rating di Gazprombank è già stato retrocesso a BB+). Oltre alle sanzioni, l'economia russa è stata fortemente colpita dal crollo del prezzo del petrolio, da luglio ad oggi sceso da 102 a 82.2 dollari al barile».
A sua volta, il rublo debole ha avuto un impatto negativo sull'inflazione, cresciuta più del previsto nel mese di ottobre. Il presidente della Banca centrale russa Nabullina ha reagito con un innalzamento dei tassi dall'8% al 9,5%, sottolineando l'importanza di raggiungere l'obiettivo di inflazione del 4% annuo entro il 2016.

Qualche giorno fa, nonostante la pubblicazione dei dati sull'inflazione migliori delle attese, la moneta si è deprezzata ulteriormente, scontando la probabilità di una futura diminuzione dei tassi. «È evidente che non ci sono i presupposti per un apprezzamento a breve – aggiunge Carcano – e per questa regione preferiamo investimenti in euro. Tuttavia, a fronte del quadro delineato esistono diverse opportunità per coloro che, ben consci della volatilità, vogliano a questi livelli esporsi al tema».
La prima alternativa, secondo l'esperta, è l'investimento indiretto tramite l'indice Dax tedesco: la Russia è un partner commerciale importante per la Germania ed un azzeramento delle esportazioni verso la Russia costerebbe alla Germania lo 0,3% del Pil. «L'altra alternativa – conclude Carcano – è investire direttamente in azioni di blue chips che presentino una redditività dipendente da attività presenti in territorio russo e ucraino. Ad esempio Bp, Total e Saipem nel settore energetico; Basf nelle materie prime; TeliaSonera nelle telecomunicazioni; Danone, Carlsberg, Henkel, CocaCola Richmont Adidas Inditex Renault nel consumo; Unicredit nel finanziario».

In Europa l'altra valuta da tenere sott'occhio è il franco svizzero che insieme allo yen rappresenta il rifugio per antonomasia. Ma certe dinamiche stanno modificando questo ruolo. «Con la fine del qe della Fed lo yen perde per effetto della politica monetaria decisa dal Giappone – spiega Matteo Paganini, capo analista di Fxcm – mentre il franco svizzero resta forte pur essendo di fronte a mercati di Borsa abbastanza stabili». Storicamente il franco si è sempre rafforzato con mercati difficili. «Tutto questo ci fa pensare – aggiunge Paganini – che il livello a 1,20 possa saltare e ci sono timori che nei prossimi mesi la Banca centrale svizzera non sia più in grado di difenderlo».
Infine, la più compromessa dal rialzo del dollaro sembra essere la sterlina. Il deprezzamento del pound, secondo gli esperti, è destinato a continuare mentre nuove mosse della Bce potrebbe portare a una situazione di forza della sterlina verso l'euro, con il quale oggi condivide invece una situazione di debolezza sul dollaro.

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