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Questo articolo è stato pubblicato il 19 novembre 2014 alle ore 20:40.

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C'è una materia prima che sta crollando di prezzo ancora più precipitosamente del petrolio: è il minerale di ferro, il cui valore si è dimezzato dall'inizio dell'anno, raggiungendo ieri 70 dollari per tonnellata. Il prezzo, rilevato da Steel Index sul mercato spot cinese ma utilizzato come benchmark in tutto il mondo, è il più basso da giugno 2009 e minaccia di continuare a scendere: secondo gli analisti di Citigroup, tra i più pessimisti, potrebbe ripiegare addirittura sotto 60 $ l'anno prossimo, mentre Goldman Sachs si è spinta a decretare «la fine dell'età del ferro».
Con una perversa coincidenza temporale, la commodity più scambiata al mondo dopo il petrolio, sta soffrendo come quest'ultimo a causa di un eccesso di offerta, che si sta sviluppando nel momento sbagliato, ossia mentre la domanda sta frenando. Per il minerale di ferro, tuttavia, non c'è un'Opec che possa almeno tentare di arginare la caduta dei prezzi: i maggiori fornitori, Bhp Billiton, Rio Tinto e Vale – che non costituiscono un cartello, pur controllando insieme due terzi delle esportazioni mondiali – stanno anzi facendo a gara per estrarre sempre più minerale a costi sempre più ridotti, sperando in questo modo di togliersi di torno i concorrenti. Forse ci riusciranno, ma questo rischia di non bastare: la crisi della siderurgia è tale che il settore potrebbe non tornare mai più a correre come un tempo, forse – è questo il dubbio che comincia a serpeggiare – neppure in Cina. Ma era proprio sull'appetito insaziabile delle acciaierie cinesi che i big minerari avevano puntato e ora rischiano di perdere la scommessa. O almeno così temono gli investitori, che ne stanno penalizzando i titoli in borsa.
La posta in gioco è alta. Goldman Sachs calcola che dal 2011 siano stati avviati o approvati 24 nuovi progetti per la produzione di minerale di ferro, per un totale di 120 miliardi di dollari. Tutti erano stati giustificati con la previsione che Pechino avrebbe continuato ad accrescere la produzione di acciaio almeno fino al 2025, dopo averla più che triplicata nell'ultimo decennio, e che questo l'avrebbe costretta ad aumentare ulteriormente le importazioni di minerale di ferro.
In Cina la crescita economica ha però rallentato al ritmo più basso da due decenni, i consumi di acciaio sono in calo e l'industria siderurgica, afflitta da un'enorme eccesso di capacità e in gran parte in perdita, sta finalmente mostrando segnali di rallentamento. Tanto che qualcuno suggerisce che la produzione locale di acciaio possa aver già raggiunto un picco.
L'ultima scivolata del prezzo del minerale di ferro è avvenuta non a caso in risposta alle scarse importazioni delle acciaierie cinesi, che per ora non hanno avviato il classico ristoccaggio di fine anno, e alla discesa dei prezzi delle case nuove in ottobre (l'edilizia è responsabile di metà della domanda di acciaio nel paese asiatico).

twitter.com/SissiBellomo
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