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Questo articolo è stato pubblicato il 27 novembre 2014 alle ore 07:36.
L'ultima modifica è del 27 novembre 2014 alle ore 16:11.

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(Ap/LaPresse)(Ap/LaPresse)

VIENNA - Di sicuro qualcuno ci proverà fino all'ultimo. Nelle stanze ovattate dei più lussuosi hotel viennesi, scelti ormai da anni come approdo da ministri e funzionari dell’Opec, ieri è stato un via vai di incontri. Trattative a oltranza, che probabilmente non sono cessate nella notte e che proseguiranno anche oggi, durante il vertice dell’Organizzazione degli esportatori di greggio, ma da cui è difficile aspettarsi colpi di scena. Il meeting, uno dei più cruciali nella storia dell’Opec, sembra avere un finale già scritto. Ed è un finale che sa di sconfitta.

L’Opec si limiterà a richiamare i suoi membri al rispetto del tetto di produzione, ma lo lascerà fermo a 30 milioni di barili al giorno, scommettono gli analisti. E il mercato è d’accordo, visto che ieri il Brent è di nuovo scivolato sotto 78 dollari al barile, vicinissimo ai minimi da 4 anni. La maggior disciplina (peraltro non scontata) dovrebbe effettivamente ridurre la produzione Opec, anche se solo di 200-300mila barili al giorno rispetto ai livelli attuali. Ufficialmente però niente “tagli”, né da parte del Cartello né tanto meno da Paesi esterni. Dopo il fallimento dei negoziati per un’azione congiunta, dalla Russia sono anzi arrivati segnali contrari: Igor Sechin, ceo di Rosneft, ha detto che Mosca non taglierebbe neppure col petrolio a 60 dollari e il ministro dell’Energia, Alexej Novak, ha anticipato una produzione stabile, intorno a 10,5 mbg, per le compagnie russe nel 2015.

A raffreddare le aspettative sul vertice Opec è stato il più potente dei suoi ministri, il saudita Ali Al Naimi: «Il mercato del petrolio finirà per stabilizzarsi», ha affermato durante una passeggiata di buon’ora, con cui a 79 anni compiuti ha sostituito l’abituale jogging mattutino coi cronisti. Nel linguaggio in codice dell’Opec significa una cosa soltanto: non faremo nulla (o quasi).

La vera doccia fredda è però arrivata più tardi, per bocca dell’iraniano Bijan Zanganeh, che dopo un colloquio privato con Al Naimi ha riferito di essersi trovato d’accordo con le posizioni di Riad: «C’è unità tra noi, dovremmo monitorare il mercato e reagire al momento giusto per gestirlo». Affermazioni particolarmente significative, considerata l’ostilità che da sempre oppone Iran e Arabia Saudita. Ma non basta. «Tutti gli esperti pensano che ci sia un eccesso di offerta sul mercato – ha aggiunto Zanganeh –. L’anno prossimo sarà ancora più grande».

Una resa totale, in apparenza. Che però non piace ad altri membri dell’Opec, convinti che a lasciar fare il mercato il prezzo del greggio finirà sì per «stabilizzarsi», ma troppo tardi per le loro disastrate finanze statali. Lo stesso Naimi in serata ha implicitamente riconosciuto che ci sono divisioni nell’Opec, affermando che «c'è consenso tra i Paesi del Golfo Persico». Non con gli altri dunque, anche se le decisioni ufficiali dell’Opec richiedono l’unanimità.

Dopo che l’Iran ha deposto gli artigli di “falco” dell’Organizzazione, capofila dello schieramento opposto ai sauditi è molto probabilmente il Venezuela, che era stato artefice dell’incontro di martedì con Russia e Messico, per coordinare tagli di produzione dentro e fuori dall’Opec. A far naufragare l’intesa potrebbe essere stata proprio l’Arabia Saudita, forse disposta a una lunga e dolorosa guerra dei prezzi, pur di espellere dal mercato almeno una parte dei produttori americani di shale oil.

Contro gli Stati Uniti si è d’altra parte scagliato apertamente Suahil Mohamed Al Mazrouei, ministro dell’Energia degli Emirati arabi uniti, di solito allineato coi sauditi. «La responsabilità dell’eccesso di offerta è degli Usa – ha sentenziato –. Bisogna che i produttori americani di shale oil lavorino con gli altri, perché la sovraproduzione nuocerà anche a loro, come a tutti nel mercato». Gli Usa alleati dell’Opec nel tagliare la produzione, insomma. Una chiara provocazione, quella di Al Mazrouei. Ma l’Opec rischia di essere davvero costretta ad aspettare una frenata dello shale oil (non certo volontaria, ma dettata da motivi economici) se l’esito del suo 166esimo meeting sarà quello che sembra profilarsi.
twitter.com/SissiBellomo

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