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Questo articolo è stato pubblicato il 12 dicembre 2014 alle ore 07:13.

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Con il petrolio che ha quasi dimezzato il valore negli ultimi sei mesi, il mercato è tornato ad attendersi un’ondata di consolidamento nel settore. A dare il la sono state le società di servizi, che di solito soffrono ben più delle major durante i cicli negativi sul mercato petrolifero, a causa della brusca frenata nello sviluppo delle attività estrattive: un mese fa Halliburton ha offerto circa 35 miliardi di dollari per la rivale Backer Hughes e poco dopo la francese Technip ha rilevato per 1,8 miliardi la connazionale Cgg.

L’esperienza insegna che prima o poi dovrebbe toccare anche alle compagnie petrolifere: forse anche per questo nei giorni scorsi ha preso piede con facilità il rumor - giudicato poco credibile dagli analisti - secondo cui Royal Dutch Shell punterebbe a scalare Bp.

In passato il copione si è sempre ripetuto, anche se non sempre con la stessa intensità: ogni volta che il greggio ha attraversato un periodo di significativi ribassi, fusioni e acquisizioni sono tornate a vivacizzare il settore, in alcuni casi ridisegnandolo in modo significativo. Fu in circostanze analoghe a quelle odierne che a fine anni Novanta nacquero le “supermajor”: Exxon si fuse con Mobil, Bp incorporò Amoco e Arco, Chevron comprò Texaco. In seguito non ci sono più stati deal di tali dimensioni o comunuqe con valenza trasformazionale. E anche oggi sarà difficile vederne, mette in guardia Fadel Gheit di Oppenheimer & Co, perché i big ormai sono rimasti in pochi.

Se una fusione tra due major è un’ipotesi remota, è invece molto probabile che - grazie alle valutazioni ridotte - passino di mano singoli asset o anche intere società di dimensioni medio-piccole: candidati ideali sono i produttori statunitensi di shale oil, fortemente indebitati e in qualche caso già ora vicini al collasso. Ma c’è anche chi ha indicato tra le possibili prede società ben più grandi ed affermate, come Tullow o Bg.

Tra i predatori c’è già un candidato: Glencore, colosso del trading di materie prime e della produzione mineraria. Il ceo Ivan Glasenberg mercoledì ha detto chiaro e tondo che intende valutare acquisizioni proprio nel settore petrolifero: «Sappiamo che cosa è successo alle valutazioni e guarderemo a quelle. Ci sarà roba a buon mercato in futuro? Staremo a vedere».

Il 2014 si sta già dimostrando un anno discreto per l’M&A nel settore, grazie all’annuncio di operazioni per circa 300 miliardi di $, in crescita rispetto ai 242 miliardi del 2013, che era il minimo dal 2009. Ma per vedere nuovi e più consistenti deal bisognerà probabilmente attendere una stabilizzazione dei mercati petroliferi, che al momento è difficile intravvedere. Il prezzo del barile è crollato all’improvviso, con una rapidità che ha preso alla sprovvista anche gli esperti: il Brent, che solo in giugno si era spinto oltre 115 $, mercoledì è sceso a 63,56 $, il minimo da 5 anni, e anche ieri è rimasto intorno a 64 $. Con il ministro del Petrolio saudita Ali Al Naimi che continua ad esibire un atteggiamento di sfida («Perché dovrei tagliare la produzione?» ha ripetuto solo l’altro ieri) i ribassi promettono di continuare.

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