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Questo articolo è stato pubblicato il 17 dicembre 2014 alle ore 13:35.
L'ultima modifica è del 17 dicembre 2014 alle ore 15:19.

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Forse pochi lo ricordano, ma la Svezia, durante l’attacco speculativo del settembre 1992 aumentò per alcune ore il tasso overnight al 500 per cento. È uno degli esempi più eclatanti di momenti in cui la storia ha posto le banche centrali contro gli speculatori. Un duello di nervi che si gioca a colpi di tassi e in cui ballano miliardi su miliardi. Che si gioca ad armi impari. Perché se alla fine vince la banca centrale, ci saranno comunque molti speculatori che avranno guadagnato dalle turbolenze. Ma se vincono gli speculatori, il Paese difeso dalla banca centrale in questione rischia di collassare sia dal punto di vista finanziario che (successivamente) di quello dell’economia reale.

E in questo momento è in corso un forte duello tra la Banca centrale della Russia, guidata da Elvira Nabiullina, e la speculazione internazionale. C’è da dire che gli attacchi speculativi hanno origini lontanissime (sin dal Medioevo) ma negli ultimi anni si sono intensificati per via dell’integrazione dei mercati finanziari e della liberalizzazione della circolazione dei capitali. Solo per citarne alcuni: Messico e Argentina negli anni ‘70 e ‘80, lo Sme (Sistema monetario europeo) nel 1992 e 1993, ancora Messico nel 1994. Poi ci sono stati quelli alle Tigri del sudest asiatico nel 1997, in Russia (1998), Brasile (1998-1999), Turchia (2001). Come non dimenticare l’attacco alla Grecia nel 2010 e poi, a cascata, a Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia (autunno 2011).

Ma che cosa succede durante l’attacco? Con quali armi si combatte il duello? La banca centrale ha a disposizione tre frecce nel suo arco: 1) riserve di valuta straniera e/o oro; 2) leva sui tassi; 3) possibilità di annunciare restrizioni sui capitali. La terza è quella più pericolosa: solitamente viene azionata quando il gioco si è fatto troppo duro e non ci sono più alternative. Azionarla è estremamente pericoloso perché può significare anche andare verso il default. Non a caso, la Russia non ha al momento fatto ricorso a questa “arma di ultima istanza” che avrebbe effetti immediati deleteri sull’economia (ulteriore prosciugamento degli investimenti, un aumento del costo del denaro, retrocessione nei rating, impennata dell’inflazione, altissimo rischio di default).

La Banca centrale russa ha però azionato le altre due armi: ha venduto ingenti quantità di riserve in dollari (si stima al momento che abbia “bruciato” 100 miliardi di riserve) per contrastare la caduta del rublo e ha alzato i tassi di interesse fino al 17% (dal precedente 10,5%, 650 punti base in una sola notte). Ma al momento queste due misure non sono bastate. Gli speculatori non si sono ancora allontanati perché fiutano ancora forti possibilità di guadagno. Anche perché a inizio 2014 le riserve in dollari della Russia ammontavano a circa 500 miliardi (ed è questa la principale differenza con la crisi russa del 1998 quando le riserve erano meno consistenti) e quindi tecnicamente di spazio per attaccare e testare la capacità di resistenza della banca centrale ce n’è ancora (anche perché prende corpo la voce che la banca russa possa iniziare ad attingere anche alle riserve di oro). Insomma, il duello è ancora in corso, e dagli esiti profondamente incerti. Anche perché gli Stati Uniti continuano a tenere il pugno duro contro la Russia (potrebbero annunciare oggi nuove sanzioni) mentre l’Unione europea inizia a fare qualche passettino indietro (va verso un ammorbidimento delle sanzioni) preoccupata per le ricadute negative in particolare sulla Germania che ha in Russia un forte mercato di sbocco e che rischia di pagare molto cara questa sorta di guerra fredda finanziaria tra Stati Uniti e Russia.

Ma per capire chi vincerà (tra Russia e speculatori) bisogna vedere anche quello che stanno facendo (e come stanno guadagnando) in questa fase gli speculatori. Che cosa fanno? Sostanzialmente vendono rubli e comprano dollari nell’aspettativa di un’ulteriore a brevissimo giro (perché gli speculatori si muovono sul brevissimo, quindi anche sulle variazioni di giornata) svalutazione del rublo. Quando il cambio si svaluta effettuano l’operazione opposta. Cioè, ricomprano rubli e vendono dollari. Ad esempio, ieri, nel corso della stessa giornata il cambio rublo/dollaro è passato da 60 a 85. Gli speculatori che hanno fatto questo “giochino” hanno guadagnato in una sola giornata 25 rubli per ogni singola operazione.

Gli speculatori possono poi fare lo stesso “giochino” attraverso l’effetto leva, cioè facendosi prestare rubli (prima di venderli). I costi dell’operazione sono “limitati” a quelli di transazione e agli interessi da pagare per il prestito a breve (che solitamente sono contenuti, non però nel caso della Svezia nel 1992, quando proprio per scoraggiare questa pratica alzò il tasso overnight per poche ore al 500%). Ma i potenziali guadagni per gli speculatori sono altissimi. Fino a che ci sono aspettative di deprezzamento del rublo il “giochino” vale la candela. E i guadagni sono moltiplicati dall’effetto leva. Gli speculatori perderebbero nel momento in cui il rublo dovesse riapprezzarsi. Cioè se le politiche azionate dalla Banca centrale riuscissero a sostenere il cambio. In questo secondo caso, la Banca centrale avrebbe vinto la sfida. Ma, come dicevamo, la guerra è ancora apertissima ed è difficile fare previsioni su chi la spunterà.

C’è però da dire che aumenti prolungati dei tassi rischiano di avere pesanti ricadute sull’economia reale perché determinano una caduta degli investimenti e un aumento del costo dell’indebitamento pubblico (debito e deficit pubblici) e privato (obbligazioni private, mutui).

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