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Questo articolo è stato pubblicato il 28 dicembre 2014 alle ore 09:42.
L'ultima modifica è del 27 dicembre 2014 alle ore 11:03.

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Il ritorno delle forniture dalla Libia aveva avuto un peso non indifferente nell’innescare nei mesi scorsi la discesa di prezzo del petrolio. Ora il paese nordafricano è ripiombato nel caos e la sua produzione di greggio si è ridotta a 352mila barili al giorno dai circa 900mila di ottobre (prima del 2011 erano 1,6 milioni). Ma quello che poteva essere un buon freno al crollo delle quotazioni del barile è stato guardato con freddezza dai mercati, ormai evidentemente dominati da forze ribassiste.

A Santo Stefano - e per di più di venerdì - con molti operatori occidentali ancora in vacanza, la seduta è stata caratterizzata da alta volatilità e volumi di scambio più che dimezzati rispetto al solito. Ma i movimenti di prezzo non sono stati poi così vistosi: il Brent, che si era spinto in rialzo di circa l’1%, a sfiorare 61 $/bbl, ha poi chiuso in leggera flessione, sotto 60 $. Stesso copione per il Wti, salito dapprima a 56,59 $, per poi ripiegare poco sopra 55 $.

Reazione davvero fiacca, mentre in Libia si faticava ad estinguere le fiamme di tre serbatoi di petrolio andati a fuoco a El Sider. Il terminal, uno dei più importanti del Mediterraneo, è stato bombardato il giorno di Natale dalle forze islamiche che contendono il potere al governo ufficiale di Abdullah Al Thinni. L’esercito regolare avrebbe ora ripreso il controllo del porto, che comunque aveva già smesso di funzionare da circa un mese (dopo aver riaperto in luglio). Nel frattempo si è fermato anche un altro importante terminal petrolifero della Libia, quello di Ras Lanuf.

«La situazione sta peggiorando in Libia e possiamo scordarci la maggior parte delle sue forniture», osserva Olivier Jakob di Petromatrix. «Anche senza un taglio di produzione dall’Opec, ne stiamo avendo uno dalla Libia».

Le quotazioni del greggio non sono evidentemente ancora pronte a riprendersi, ma da qualche giorno stanno comunque cercando di stabilizzarsi dopo essersi quasi dimezzate in sei mesi. Un supporto potrebbe arrivare anche dall’approvazione del nuovo bilancio statale in Arabia Saudita, che secondo John Sfakianakis, ex consigliere economico del governo, implica una stima di prezzo di 80 $ per il petrolio nel 2015: segno che Riayadh si aspetta un rimbalzo. Altri analisti stimano che la cifra incorporata nel budget sia piuttosto 55 $.

Sta di fatto che i sauditi non sono arretrati di un passo di fronte al crollo del barile: le spese statali preventivate per l’anno prossimo sono da record, a fronte di entrate che si attendono ridotte di un terzo (a 715 miliardi di riyal). Il risultato sarà un deficit di 145 miliardi di royal o 39 miliardi di dollari, il 4% del Pil.

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