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Questo articolo è stato pubblicato il 20 gennaio 2015 alle ore 07:15.

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Un quinto della produzione petrolifera britannica, ossia 160mila barili al giorno, rischia di chiudere con il prezzo del greggio sotto 50 dollari al barile. Il grido di allarme - ennesima dimostrazione che i rischi sull’offerta non riguardano soltanto lo shale oil americano - arriva dall’associazione di categoria Oil and Gas Uk. Il ceoMalcom Webb, intervistato da Platts, si scaglia soprattutto contro la pressione fiscale troppo pesante imposta da Londra, soprattutto per le operazioni estrattive avviate prima del 1993. «I giacimenti più vecchi e con minori volumi di produzione sono davvero in difficoltà oggi. Pensiamo che questa situazione riguardi circa il 30% dei giacimenti, responsabili del 20% della produzione nazionale».

I primi segnali di rallentamento delle estrazioni di petrolio in paesi non Opec, evidenziati anche dall’Agenzia internazionale dell’energia, avevano messo un freno alla caduta delle quotazioni del barile: il recupero della settimana scorsa, benché modesto, aveva interrotto la più lunga serie di ribassi settimanali dal 1986, sette consecutivi. Ma ieri il petrolio è tornato sotto pressione, cedendo oltre il 2% e chiudendo, nel caso del Brent per marzo, a 48,84 dollari al barile.

Le inquietudini sulla domanda sono tornate in primo piano, con gli analisti che si attendono un ulteriore rallentamento della crescita cinese nel quarto trimestre 2014 (il consensus è per un +7,2%, il minimo dai tempi della recessione globale). Inoltre, benché un numero crescente di giacimenti - e di investimenti estrattivi - appaia a rischio, ci sono aree geografiche in cui la produzione continua a salire, negli Stati Uniti e non solo: in dicembre, si è saputo ieri, l’Iraq ha estratto 4 milioni di barili al giorno, un record da 35 anni. Il ministro del Petrolio iraniano Bijan Zanganeh nel frattempo ha messo una pietra tombale sulle speranze (peraltro quasi inesistenti) di un intervento dell’Opec. «L’Iran non prevede di convocare un vertice di emergenza», ha detto Zanganeh, aggiungendo di essere attualmente «in consultazione con altri membri dell’Opec», ma che queste «non hanno per ora dato frutti». Il probabile riferimento è al l’ennesimo tour diplomatico del presidente venezuelano Nicolas Maduro, che l’ha portato anche in Iran, nel tentativo di organizzare un’azione di contrasto alla caduta dei prezzi. Lo stesso Zanganeh del resto rifiuta di mettere a freno la produzione e assicura che «anche se il petrolio scendesse a 25 dollari l’industria (iraniana) non sarebbe minacciata».

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