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Questo articolo è stato pubblicato il 21 gennaio 2015 alle ore 07:22.

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(Afp)(Afp)

Tra gli effetti collaterali del crollo del petrolio bisogna mettere in conto anche la perdita di migliaia di posti di lavoro. Un problema che sta assumendo dimensioni crescenti e che negli Stati Uniti in particolare rischia di vanificare, almeno nel breve termine, i benefici del risparmio sui costi energetici.

Dopo l'annuncio shock di Shlumberger, che la settimana scorsa ha comunicato 9mila licenziamenti, altre migliaia di esuberi sono stati prospettati anche gli altri big dei servizi petroliferi , l'attività che per prima sta risentendo della cancellazione di investimenti nel settore. Ieri Backer Hughes ha detto che lascerà a casa 7mila dipendenti, mentre
Halliburton - che si è impegnata ad acquisirla per oltre 30 miliardi di dollari - ha già eliminato un migliaio di posti e promette di proseguire: la società per ora non ha voluto fare numeri, ma ha anticipato che i tagli saranno «in linea con quelli dei nostri principali concorrenti».

Shlumberger non sta facendo una dieta dimagrante troppo rigorosa: ieri ha anzi annunciato che rileverà il 45,7% della russa Eurasia Drilling per circa 1,7 miliardi di $ in contanti, un'operazione giudicata disinvolta considerato che Mosca è nel mirino delle sanzioni Usa.

Salvo qualche acquisizione opportunistica, nel settore petrolifero si respira comunque un clima pesante. Le quotazioni del barile, già più che dimezzate dall'estate scorsa, non smettono di scendere. Alla riapertura dei mercati Usa dopo il Martin Luther King Day il Wti ieri ha perso il 4,7% a 46,39 $ e il Brent ha chiuso a 47,99 $ (-1,7%).

Il Fondo monetario internazionale, dopo aver suggerito che il mini-greggio potesse giovare all'economia, ha invece finito col tagliare di nuovo le stime sulla crescita globale. Nemmeno gli Usa, patria di un eccezionale boom petrolifero, possono sentirsi al sicuro. Anzi. Poiché la rivoluzione dello shale oil è stata uno dei motori principali della ripresa americana dopo la recessione, la crisi nel settore rischia - almeno nel breve termine - di creare gravi danni.Ogni impianto di trivellazione fermato negli Usa (da settembre sono già oltre 180) rende “superflui” 50-60 lavoratori. E la perdita di posti non riguarda solo i servizi petroliferi.

Us Steel, ad esempio, ha già detto che taglierà 600 addetti a causa della minore domanda di tubi in acciaio per l'industria estrattiva. Altre centinaia di licenziamenti sono stati annunciate da Civeo, che costruisce prefabbricati per ospitare la manodopera dei giacimenti. E stanno entrando in crisi anche le società che forniscono gli “ingredienti” per il fracking, ossia sabbia e gomma di guar.

Presto, c'è da scommetterlo, riduzioni di personale saranno annunciate anche dalle Major petrolifere (i bilanci sono attesi a breve). Mentre molte tra le compagnie più piccole potrebbero direttamente chiudere i battenti, schiacciate da debiti sempre più pesanti e da difficoltà di finanziamento che per qualcuno stanno diventando insormontabili.

twitter.com/SissiBellomo
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