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Questo articolo è stato pubblicato il 31 gennaio 2015 alle ore 08:33.
L'ultima modifica è del 31 gennaio 2015 alle ore 08:59.

Sette mesi consecutivi di ribasso per il petrolio: una serie negativa così lunga che da quando esistono i futures sul Brent, ossia dal 1988, non si era mai verificata, neppure ai tempi della recessione globale. Ma il mercato sta cercando di voltare pagina. Ieri la seduta è stata positiva, anzi molto positiva. Le quotazioni del barile sono rimbalzate con un vigore che non si vedeva da due anni e mezzo, chiudendo in rialzo del 7,9% nel caso del riferimento europeo, tornato a quota 52,99 dollari al barile, e adell’8,3% nel caso del Wti, attestatosi a 48,24 $.
L’intonazione era buona fin dalle prime battute, secondo alcuni analisti per via del riesplodere di violenti combattimenti in Iraq, proprio vicino al centro petrolifero di Kirkuk. Su mercati che ormai da molto tempo voltano le spalle alle tensioni geopolitiche, è però probabile che l’influenza rialzista arrivasse soprattutto dai forti tagli agli investimenti annunciati in questi giorni dalle compagnie petrolifere. Tant’è che a mettere le ali ai prezzi sul finale è stato il conteggio delle trivelle negli Usa: la statistica del venerdì sera di Backer Hughes, un tempo guardata con distrazione anche dagli addetti ai lavori, ma oggi attesa con ansia come l’oracolo di Delfi.
Ebbene, questa settimana negli Usa si sono fermati altri 94 impianti di perforazione, ossia il 7%, il calo più marcato dal 1987. Rispetto al picco di ottobre le trivelle attive si sono ridotte del 24%, a 1.223, il minimo da tre anni. Comunque lo si guardi, il rapporto di Backer Hughes mostra segnali rialzisti. Il maggior numero di fermate, ben 58, c’è stato in Texas e di queste 25 erano in una delle aree a maggior crescita per lo shale oil, il bacino di Permian. Le trivelle orizzontali, quelle più usate nel fracking, sono diminuite di 61 unità, un calo che non si verificava come minimo dal 1991: in pratica mai visto nell’era dello shale.
Una rapida occhiata a queste cifre è bastata per innescare una raffica di ricoperture da parte degli hedge funds, che al Nymex hanno in mano il maggior numero di posizioni corte (alla vendita) da 4 anni. Tanto più che il petrolio sembrava già cercare un pavimento, come si dice in gergo finanziario, mantendendosi da un paio di settimane relativamente stabile intorno a 45-50 dollari. Ieri inoltre era venerdì 30 gennaio, ultimo giorno della settimana e del mese.
In realtà è davvero troppo presto per dichiarare conclusa la fase ribassista ed è ben possibile che la volatilità si riaffacci . Anche perché la produzione petrolifera per ora continua a correre: gli Usa sono arrivati ad estrarre 9,2 milioni di barili al giorno, il massimo almeno dal 1983, mentre stime Bloomberg indicano che l’Opec in gennaio ha accresciuto l’output a 30,9 mbg dai 30,4 mbg di dicembre.
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