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Questo articolo è stato pubblicato il 05 marzo 2015 alle ore 07:36.
È di nuovo un periodo loquace per Ali Al Naimi. Il ministro del Petrolio saudita, dopo aver decretato che la domanda di greggio sta risalendo, ora è tornato sul tema per attribuirsene il merito, additando questa ripresa e la stabilizzazione del prezzo del barile come prove di efficacia delle strategie saudite. «L’Opec ha preso una decisione storica in novembre, non intervenendo sul mercato», ha dichiarato Al Naimi in un discorso a Berlino. «La storia dimostrerà che era il percorso giusto da seguire».
«Alcuni parlano di guerra dell’Opec contro lo shale oil, altri sostengono che l’Opec è morta - ha proseguito il ministro - Le teorie abbondano ma sono tutte sbagliate». Lo shale oil in particolare non sarebbe un nemico, ma «uno sviluppo benvenuto sul mercato petrolifero», che ha permesso di sopperire a perdite di produzione in altri paesi. «Non è però il ruolo dell’Arabia Saudita, né di altri membri Opec, sussidiare i produttori a più alto costo cedendo quote di mercato». Riyadh resta ben decisa a non ridurre la produzione «a meno che i clienti ci dicano che non vogliono il nostro greggio, ma non accadrà perché siamo il fornitore più affidabile».
Questo fornitore è ora tornato ad alzare i prezzi di listino: una mossa che sembra segnare una svolta nelle politiche di Riyadh, ma alla quale il mercato ha reagito tiepidamente. Benché il rincaro sia il più forte da 3 anni, prova a spiegare Bloomberg, i prezzi sauditi per l’Asia restano i più bassi dal 2000 per questa stagione. I segnali rialzisti , come forse voleva essere anche il discorso di Al Naimi, continuano inoltre a scontrarsi con un eccesso di produzione: le scorte Usa la settimana scorsa sono salite ancora, di 10,3 milioni di barili.
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