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Questo articolo è stato pubblicato il 26 marzo 2015 alle ore 07:21.
L'ultima modifica è del 26 marzo 2015 alle ore 10:51.

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La produzione di petrolio negli Stati Uniti sembra avere finalmente iniziato a tirare il freno: l’Energy Information Administration (Eia) ha registrato la settimana scorsa un aumento di appena 3mila barili al giorno. Anche se complessivamente le estrazioni restano a livelli record (9,42 milioni di barili al giorno), la notizia ha attirato l’attenzione del mercato, al punto da distrarlo dal problema delle scorte, che sta assumendo sfaccettature diverse e non più limitate solo al timore di veder traboccare i serbatoi a Cushing, la località del Midwest degli Usa che funge da punto di consegna per il greggio Wti.

Anche in Cina la capacità degli stoccaggi sta per esaurirsi, ha denunciato ieri Cheb Bo, presidente di Unipec, braccio commerciale della compagnia di Stato Sinopec. Le implicazioni, di sapore fortemente ribassista, sono ovvie: Pechino, che con le sue importazioni aveva fornito un’importante stampella alle quotazioni petrolifere, dovrà limitare gli acquisti. L’import cinese ha già iniziato a rallentare: in gennaio e febbraio è stato rispettivamente di 6,6 e 6,7 mbg netti, in calo di circa il 7% rispetto al record di 7,15 mbg in dicembre, quando il barile a metà prezzo aveva accelerato l’accumulo di riserve strategiche.

Altre scorte di cui in teoria il mercato dovrebbe preoccuparsi sono quelle iraniane: secondo alcune stime Teheran sta conservando più di 30 milioni di barili di greggio a bordo di petroliere, pronti ad essere messi in commercio non appena le sanzioni dovessero venire meno, in tempi molto più brevi rispetto a quelli necessari per aumentare la produzione dei giacimenti. L’eventualità potrebbe verificarsi nei prossimi mesi, in caso di lieto fine dei negoziati con l’Iran: le trattative riprendono oggi in Svizzera, con l’obiettivo di raggiungere un risultato a fine mese.

Con il dollaro in calo, l’Arabia Saudita che schiera truppe al confine con lo Yemen e la notizia che gli americani hanno guidato per 3.050 miliardi di miglia (4.900 miliardi di km) nei 12 mesi fino a gennaio - un record storico - il petrolio ha comunque chiuso in forte rialzo: +2,5% per il Brent a 56,48 $/barile e +3,6% per il Wti a 49,21 $.

Il riferimento Usa ha voltato le spalle persino al nuovo aumento delle scorte americane. Quelle di greggio, già ai massimi dagli anni ’30, sono salite di 8,2 mb (a 466,7 mb) e Cushing, con altri 1,9 mb, è arrivata a 56,3 mb: una quantità più che raddoppiata dallo scorso novembre e che secondo stime Eia occupa ormai l’80% della capacità del terminal. Capacità operativa, non totale, perché per sicurezza di solito si mantiene vuoto il 3-5% del serbatoio. Bloomberg riferisce tuttavia che molte società stanno oggi valutando se utilizzare, con opportuni accorgimenti tecnici, anche questo spazio “cuscinetto”. La stessa Eia ha inoltre rassicurato il mercato sostenendo che a marzo del 2011 si era arrivati ad occupare addirittura il 91% della capacità di Cushing, che perdipiù oggi è collegata molto meglio alla rete degli oleodotti (e dunque è più facile da svuotare).

Se la produzione Usa non diminuirà - anziché limitarsi a frenare - i nodi rischiano però di venire al pettine. Anche perché molto presto si entrerà nella stagione di manutenzione delle raffinerie. E la domanda di greggio inevitabilmente calerà.

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