È il sorgo, un’umile e robusta graminacea, l’astro nascente dell’agricoltura «made in Usa». Secondo il rapporto di previsione sulle semine diffuso ieri dall’Usda, i coltivatori americani la prossima stagione vi riserveranno 7,9 milioni di acri, circa 3,2 milioni di ettari: un’estensione relativamente piccola - specie se paragonata a quelle delle maggiori colture - ma la più alta da sette anni e in crescita del 10,7% rispetto al 2014-15.

Il sorgo in parte sostituirà il mais e il grano, crollati di prezzo dopo due stagioni consecutive di raccolti da primato nel mondo. Al mais ij particolare sarà riservata l’area più piccola da 5 anni, benché ridotta di appena l’1,5% dalla passata stagione e tuttora enorme (89,2 milioni di acri).

Il vero sconfitto nella competizione per le semine sarà il cotone: le coltivazioni si restringeranno del 13,5% a 9,5 milioni di acri, il minimo dal 2009.

Il sorgo può vantare parecchi punti a suo favore. Prima di tutto è una pianta molto resistente, soprattutto alla siccità, ed è economica da coltivare: 142 $/acro stima l’Usda, contro i 497,26 $ del cotone, i 350,33 $ del mais e i 181,07 $ della soia. Inoltre il suo prezzo è rimasto pressoché stabile negli ultimi 12 mesi (intorno a 3,8 $/bushel), mentre gli altri cereali e la soia subivano ribassi a doppia cifra percentuale.

Dalla sua parte il sorgo ha anche la domanda. La Cina in particolare ne consuma sempre di più, come foraggio per i maiali - che alleva sempre più numerosi - e anche come ingrediente per il baiju, un distillato simile al whisky. Il sorgo può servire anche a produrre etanolo e nell’alimentazione umana (per esempio nel cous cous).

Pechino l’anno scorso ha respinto numerosi carichi di mais dagli Usa, in quanto contaminati da un Ogm che non aveva ancora approvato (il via libera è arrivato a dicembre). Ma le sue importazioni di sorgo dal 2013 sono letteralmente esplose: per la stagione in corso l’Usda stima un aumento del 68% a 7,7 milioni di tonnellate, un record storico.

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