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Questo articolo è stato pubblicato il 16 aprile 2015 alle ore 06:55.
L'ultima modifica è del 16 aprile 2015 alle ore 08:00.

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Lo shale oil avrà anche iniziato a frenare, ma secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) a livello globale l’offerta di petrolio in marzo è arrivata a 95,2 milioni di barili al giorno: un record storico, raggiunto con un incremento di produzione di 1 mbg rispetto a febbraio, quasi tutto generato dall’Opec, e di ben 3,5 mbg rispetto a un anno prima (quest’ultimo «diviso tra Opec e non Opec».

Le cifre non stupiscono Leonardo Maugeri, senior fellow alla Harvard University: «Dall’inizio dell’anno la produzione petrolifera è cresciuta costantemente - spiega al Sole 24 Ore - e anzi mi risulta che oggi sfiori 96 mbg. Gli Usa infatti, a dispetto di quanto annunciato da quasi tutti, non perdono produzione, mentre l’Arabia saudita l’ha incrementata e la Russia ha superato un altro record storico. Secondo me tra qualche mese l’Aie rivedrà le serie storiche, aumentando la stima dell’offerta dei mesi precedenti e diminuendo l’incremento di marzo»

L’eccesso di petrolio sul mercato, che nei mesi passati veniva generalmente stimato intorno a 1,5 mbg, potrebbe quindi aver superato 2 mbg e in teoria essere avviato ad ingrossarsi ulteriormente. La stessa Aie indica che la domanda nei primi tre mesi di quest’anno è stata di 92,99 mbg (a fronte di un’offerta di 94,50 mbg), mentre nel trimestre in corso dovrebbe attestarsi in media a 92,66 mbg.

L’Agenzia ammette che lo scenario per il petrolio si è fatto più «confuso» e che le sue precedenti previsioni si stanno rivelando sbagliate: «I recenti sviluppi mettono in discussione l’aspettativa che le reazioni di offerta e domanda avrebbero cominciato a riequilibrare il mercato a partire da metà anno».

La produzione di shale oil, che secondo il governo Usa in maggio calerà di 57mila bg, potrebbe in effetti accelerare la discesa. L’Aie ha abbassato ancora le stime (ora la vede crescere di soli 550mila bg nel 2015). Inoltre ha constatato «sacche inaspettate di forza della domanda» negli Usa, ma anche in Europa e in Asia, tanto che ora prevede per quest’anno un incremento di 1,1 mbg (a 93,6 mbg), in accelerazione rispetto ai +700mila bg del 2014.

Dall’Opec tuttavia è difficile aspettarsi un dietrofront rispetto alle politiche attuali, a meno che la Russia e altri paesi non decidano di schierarsi al suo fianco nel tagliare l’output. L’ipotesi ieri ha ripreso corpo dopo che il vicepremier russo Arkady Dvorkovich ha dichiarato di avere in corso «consultazioni senza precedenti» con l’Opec. Il ministro dell’Energia Alexander Novak ha aggiunto di aver parlato personalmente pochi giorni fa con il segretario generale dell’Opec Abdallah Al Badri, ma una sua portavoce ha in seguito escluso che sia stato discusso un taglio congiunto della produzione, ipotesi che del resto ha sempre lasciato scettici gli analisti. «Con la produzione Opec che dovrebbe stare sopra la quota di 30 mbg nei prossimi mesi - avverte Giovanni Staunovo, analista di Ubs - il surplus potrebbe raggiungere quasi 2 mbg nel secondo trimestre».

Il mercato continua comunque a ignorare del tutto la situazione. Il petrolio ha anzi accelerato il rialzo. Il Brent ha chiuso a 60,32 $/barile (+3,2%), mentre il Wti è ha guadagnato addirittura il 5,8% chiudendo al record dell’anno:  56,39 $.

Ad eccitare gli animi un aumento minore delle attese delle scorte di greggio Usa - salite la settimana scorsa “solo” di 1,3 mb, ma comunque ai massimi da oltre 80 anni - e una forte accelerazione delle raffinerie americane, che per sfruttare i margini favorevoli hanno operato al 92,3% della capacità, trasformando la maggior quantità di greggio dal 1989 (16,5 mbg). Tanto basta, evidentemente, a convincere che il surplus di greggio verrà riassorbito velocemente.

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