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Questo articolo è stato pubblicato il 21 aprile 2015 alle ore 07:17.

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Prima Google, adesso Gazprom. Sotto la nuova guida della danese Margrethe Vestager, l’Antitrust europea non guarda in faccia a nessuno e - a una settimana esatta dall’azione contro il gigante americano del web - è ore pronta a procedere contro il monopolio russo dell’export di gas. La lettera di obiezioni, documento che formalizza gli addebiti contro Gazprom, potrebbe arrivare già domani, secondo indiscrezioni, al rientro della commissaria europea alla Concorrenza dagli Stati Uniti.

A quel punto, se nelle successive 10 settimane non si giungerà a un accordo, la società russa potrebbe essere costretta a pagare una multa fino a 14,3 miliardi di dollari, ossia il 10% del suo fatturato nel 2012, anno in cui è stata aperta ufficialmente l’indagine Ue.

Durante il soggiorno oltre Oceano la stessa Vestager ha segnalato la possibilità di un intervento a breve, promettendo fermezza contro «le società energetiche danneggiano i rivali, bloccano i flussi di energia da un Paese Ue all’altro o minacciano di chiudere i rubinetti». Nel discorso, pronunciato a Washington, il nome di Gazprom non è stato fatto. Ma le intenzioni di Vestager lasciano pochi dubbi.

Nominata lo scorso novembre, la quarantasettenne danese ha ereditato l’indagine contro il colosso russo del gas dal suo predecessore Joaquim Almunia, lasciando subito intendere di non voler lasciar cadere la questione. «Se lo si vede come un caso politico allora qualsiasi momento è quello sbagliato - aveva dichiarato un paio di mesi fa in un’intervista - ma secondo me il caso regge e alla fine potrebbe arrivare in tribunale».

L’apertura delle ostilità da parte dell’antitrust europea risale al 27 settembre 2011, quando Bruxelles fece perquisire in una ventina di uffici di Gazprom, in dieci paesi dell’Est Europa. L’indagine formale, aperta esattamente un anno dopo il blitz, si è concentrata su tre aspetti: alla società russa - che nel 2014 ha soddisfatto il 27% del fabbisogno europeo di gas, con esportazioni pari a 147 miliardi di metri cubi - si contesta di ostacolare la riesportazione delle forniture ( il cosiddetto «market partitioning») e di legare le condizioni contrattuali alla cooperazione in altre aree di business, ad esempio consentire la costruzione di un gasdotto («market forclosure»), due aspetti su cui Almunia circa un anno fa aveva detto che Gazprom sembrava disposta a trattare, anche oggi sembra riproporre lo stesso “gioco” con la Grecia: proprio oggi il ceo del gruppo, Aleksei Miller, sarà ad Atene, intenzionato a promuovere il nuovo gasdotto Turkish Stream, in cambio - a quanto si dice - di finanziamenti .

C’è poi una terza accusa della Ue, legata all’imposizione da parte di Gazprom di prezzi indicizzati al petrolio, con enormi disparità tra quanto viene chiesto di pagare a ciascun cliente: in Lettonia ad esempio, dove ci sono poche alternative al gas russo, le forniture costano circa un terzo in più che in Germania. Era su quest’ultimo punto che le discussioni con Gazprom si erano arenate. Poi la Russia ha invaso la Crimea e l’inasprirsi della crisi con l’Ucraina - con il corollario di rischi per le forniture europee di gas - aveva spinto Bruxelles a congelare l’inchiesta antitrust.

Ora si riparte. Ma Gazprom è più agguerrita che mai. Nei giorni scorsi, per la prima volta in assoluto, ha prefigurato la possibilità di «prendere una pausa» come fornitore dell’Europa, una volta che avrà aperto le vie di esportazione verso la Cina.

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