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Questo articolo è stato pubblicato il 16 maggio 2015 alle ore 09:49.
L'ultima modifica è del 16 maggio 2015 alle ore 20:39.

E se tutto (o molto) dipendesse dal dollaro? Il recupero delle quotazioni del petrolio - davvero troppo impetuoso di fronte alla debolezza dei fondamentali - è un rompicapo che secondo un numero crescente di analisti si può risolvere solo guardando a fattori diversi dalle leggi della domanda e dell’offerta: fattori puramente finanziari, legati allo spostamento di enormi flussi di denaro da un asset all’altro.
All’origine di tutto, insomma, ci sarebbe la speculazione: un vecchio mantra dell’Opec, che almeno stavolta trova parecchi riscontri oggettivi , a cominciare dal posizionamento degli hedge funds sui mercati dei futures. Come fa notare John Kemp, analista Reuters, il periodo più vigoroso del rally del petrolio ha coinciso con la chiusura accelerata di posizioni “corte” (alla vendita) da parte dei fondi: queste a metà marzo erano a livelli record, equivalenti tra future e opzioni a 209 milioni di barili di greggio al Nymex, ma entro il 5 maggio erano crollate di oltre il 55% fino a ridursi all’equivalente di 93 mb. Nello stesso periodo il Wti è salito da 42 $/barile, il minimo da sei anni, fino a oltre 62 $. Dopo di che il rally ha perso fiato: questa settimana si è conclusa con il Wti a 59,69 $ e il Brent a 66,81 $.
Il recente spostamento dei fondi, scrive Kemp, è «l’immagine speculare di quanto era accaduto a maggio-giugno 2014», poco prima che il petrolio crollasse. Solo che stavolta la scintilla che ha dato l’innesco alle ricoperture è stato qualcosa di estraneo al mercato del petrolio. È vero, si è osservato un rallentamento dello shale oil negli Stati Uniti: questo ha smesso di crescere, almeno per ora (anche se le statistiche di Backer Hughes segnalano che la settimana scorsa solo 8 trivelle si sono fermate negli Usa, il minimo da quando è iniziato il declino). Ma si stima che tuttora ci sia un surplus di 2 milioni di barili di greggio e sul mercato fisico ci sono segnali - anche di prezzo - di estrema debolezza, che fanno a pugni con il recente andamento di Brent e Wti.
Non è solo il petrolio del resto ad aver bruscamente invertito la rotta nelle ultime settimane: anche il dollaro da marzo ha interrotto il rally e scossoni ancora più forti hanno investito, più di recente, i titoli di Stato, con rendimenti improvvisamente in salita. Il rapporto di correlazione inversa che legano il petrolio al biglietto verde e ai Bund tedeschi sono elevatissime in questo periodo. Gli hedge funds stanno spostando milioni di miliardi di dollari sui mercati, probabilmente come contraccolpo alle politiche monetarie della Banca centrale europea. E il petrolio, che negli ultimi dieci anni è diventato un asset finanziario a tutti gli effetti, partecipa al valzer. «Alcuni macro fondi multimiliardari magari investono solo l’1% del portafoglio in petrolio - osserva Energy Aspects - ma a volte questo è abbastanza per sovrastare tutti i fondi più piccoli focalizzati sui fondamentali».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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