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Questo articolo è stato pubblicato il 27 maggio 2015 alle ore 06:58.

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Altro che tagli di produzione. A dieci giorni dal vertice Opec, la battaglia per la conquista dei mercati petroliferi si prepara a una nuova escalation, con l’Iraq che nel mese di giugno punta ad accrescere del 26% le esportazioni di greggio, al record di 3,75 milioni di barili al giorno. L’incremento equivale a mettere sul mercato un altro Qatar: circa 800mila bg in più, che andrebbero a gonfiare un surplus di offerta che già si stima intorno a 2 mbg.

L’aspirazione di Baghdad - alle prese con l’avanzata sempre più aggressiva dell’Isis - potrebbe andare delusa: le indicazioni sull’export, che l’agenzia Bloomberg ha ricavato dai programmi di carico degli armatori, potrebbero essere disattese, come spesso avviene. Ma sono comunque significative dell’approccio tutt’altro che remissivo con l’Iraq, uno dei pesi massimi dell’Opec, si presenterà al vertice del 5 giugno.

Anche i produttori di shale oil americani non mollano. Il crollo delle attività estrattive negli Stati Uniti si è già arrestato, grazie al recente rally del petrolio:  le statistiche di Backer Hughes indicano che la settimana scorsa le compagnie hanno fermato un solo impianto di perforazione. E Goldman Sachs è convinta che «se il prezzo del Wti resterà vicino a 60 dollari, i produttori Usa accelereranno l’attività, visto che la redditività è aumentata, con i costi che sono scesi di almeno il 20%».

È comunque tutt’altro che scontato che il Wti riesca a restare a lungo a tali livelli. Le sorti del petrolio appaiono sempre più strettamente legate a quelle del dollaro (si veda Il Sole 24 Ore del 16 maggio). Il rapporto di correlazione inversa che lega il Brent all’andamento del biglietto verde, a lungo “dimenticato” dai mercati, è oggi il più stretto da oltre tre anni: la correlazione media a 25 giorni venerdì era -0,63. Semplificando, significa che per il 63% del tempo il petrolio e il dollaro si sono mossi in modo speculare. Negli ultimi due anni, secondo Reuters, è stata in media di -0,06: in pratica, nessuna relazione.

La ripresa del rally della valuta americana - che ieri è salita ai massimi da 8 anni sullo yen e da un mese sull’euro - in queste condizioni si è tradotta in una batosta per il barile: il Brent sceso fino a 63,29 dollari , il prezzo più basso da un mese, per poi chiudere a 63,72 $ (-2,7%), mentre l’americano Wti è scivolato a 58,03 (-2,8%).

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