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Questo articolo è stato pubblicato il 11 giugno 2015 alle ore 06:39.

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Le Fondazioni provano a stanare il governo sulla Cassa depositi e prestiti. Sulla volontà di anticipare il rinnovo degli organi, a partire da presidente e ad, ma soprattutto sulla nuova mission che Palazzo Chigi ha in mente per l’ente e i suoi 350 miliardi di attivi, capaci di generare 2,2 miliardi di utili nel 2014.

L’accelerazione dell’esecutivo ha colto di sorpresa le Fondazioni, azioniste con il 18,4%, cui spetta per statuto la nomina del presidente. Se ne è avuta conferma ieri, nella riunione convocata all’Acri tra i rappresentanti degli enti soci di Via Goito: per alcuni di essi, i più piccoli, i dividendi Cdp sono una delle poche entrate certe da cui dipendono le erogazioni, così un cambio radicale della mission della Cassa - con le inevitabili conseguenze sulla capacità di generare reddito - generano un certo allarme. E poi c’è la questione del rinnovo al vertice: l’ipotesi sul tavolo è quella di sostituire Franco Bassanini con Claudio Costamagna (e Giovanni Gorno Tempini con Fabio Gallia nel ruolo di ad), un passaggio che indispettisce gli enti sia per ragioni formali - la nomina del presidente spetta agli enti - che sostanziali, visto che si chiederebbe ai soci privati di rinunciare, per di più anzitempo, a una figura che ne ha tutelato in questi anni gli interessi in cambio di un manager molto apprezzato ma comunque di altra “provenienza”.

Chi dovrà rappresentare questa posizione al governo, e in particolare al ministro Pier Carlo Padoan con cui è previsto un incontro ad horas sarà il presidente Acri, Giuseppe Guzzetti. Un confronto tra i due potrebbe avvenire già oggi e non è escluso che il faccia a faccia si svolga alla presenza del premier Matteo Renzi. A Guzzetti, ieri, i delegati hanno infatti dato mandato a trattare con l’Esecutivo, «per conoscere con chiarezza e precisione le sue intenzioni riguardo al futuro della Cassa». In particolare, secondo quanto si legge in una nota diffusa dall’associazione, le Fondazioni chiedono «una verifica del ruolo che si intende attribuire a Cdp in termini di conferme o di eventuali modifiche della sua missione». È poi «necessario che si valuti opportunamente l’impatto degli eventuali cambiamenti sulla sana e prudente gestione di Cdp, soprattutto in termini di modifica del profilo di rischio che ne potrebbe derivare». Per quanto riguarda invece Franco Bassanini, l’Acri ribadisce «la fiducia e l’apprezzamento per l’operato dell’attuale presidente».

Se dunque l’avvicendamento tra Gorno Tempini e Gallia per la poltrona di ad sembra ormai acquisito, resta da sciogliere, come detto, il nodo della presidenza. In molti ritengono che il ticket Costamagna-Gallia sia troppo lanciato per saltare, ma la presa di posizione espressa ieri dalle Fondazioni e la difesa di Bassanini non potranno non essere prese in considerazione dal governo. Dove, va detto, si registrano comunque dei distinguo rispetto al cambio anticipato dei vertici di Cdp. Non è mistero infatti che ad accelerare sul rinnovo anzitempo siano stati soprattutto alcuni ambienti vicini al premier - in particolare il consigliere per le politiche industriali, Andrea Guerra - mentre dalle parti del ministero dell’Economia prevale una linea decisamente più prudente anche in considerazione dei risultati che il duo Bassanini-Gorno Tempini ha conseguito al timone della Cassa distribuendo peraltro ai propri azionisti (Mef in testa che, di Cdp, detiene l’80,1 per cento) cedole assai sostanziose negli ultimi anni.

Insomma, la partita è ancora aperta, ma qualche indicazione più precisa sulla tempistica del ricambio potrebbe arrivare a valle del vertice Guzzetti-Padoan. Resta comunque da capire, poi, se l’eventuale avvicendamento riguarderà solo il vertice o investirà anche il resto del board. Quale che sia la scelta finale dell’esecutivo, però, servirà comunque un’assemblea, che va convocata con otto giorni di anticipo, per il via libera finale.

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