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Questo articolo è stato pubblicato il 19 giugno 2015 alle ore 07:16.

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Denaro facile e una forte riduzione dei costi operativi stanno mantenendo in vita le società americane dello shale oil. Ma il settore non ha recuperato la salute: le sue condizioni si stanno anzi aggravando dal punto di vista finanziario, mentre la medicina della liquidità potrebbe presto finire, provocando conseguenze gravi se il prezzo del petrolio - inchiodato da un paio di mesi tra 55 e 60 dollari al barile nel caso del Wti - non si rimetterà a correre o peggio ancora se dovesse crollare di nuovo (eventualità tutt’altro che remota, considerata l’estrema debolezza dei fondamentali del greggio).

Dopo mesi di bonaccia, segnali di allarme si stanno riaffacciando sul mercato del credito, solo temperati dalla cautela dimostrata ancora una volta dalla Federal Reserve, che porta ad escludere il rischio di un brusco rialzo dei tassi di interesse. La recente ripresa dei rendimenti dei titoli di Stato ha già innescato una reazione a catena, spingendo ai massimi da 5 mesi il tasso delle obbligazioni spazzatura con cui lo shale oil si è in buona parte finanziato: si è arrivati al 6,8% da meno del 6% a fine maggio. Per il settore energia il rendimento è al 9,3%, su livelli ormai vicini a quelli di fine 2014, quando l’allarme sulla solidità dei “frackers” era particolarmente elevato.

Gli investitori - quanto meno quelli retail - sono tornati ad allontanarsi dal settore: la settimana scorsa i fondi che operano nel comparto dei junk bond Usa hanno subito riscatti per 2,56 miliardi di dollari secondo Epfr Global, il massimo da metà dicembre.

I casi di insolvenza, finora sorprendentemente scarsi, si stanno intanto moltiplicando. A maggio ce ne sono stati nove - un record da ottobre 2009 - e tutti hanno riguardato società energetiche o minerarie. Agli stessi settori appartiene il 93% delle imprese che hanno fatto default nel secondo trimestre.

«Al di fuori dell’energia, dei metalli e del mining i fondamentali sono robusti - ha spiegato alla Bloomberg Eric Rosenthal, senior director di Fitch - ma nel comparto high yield la componente energia è cresciuta così in fretta e i ribassi delle materie prime hanno davvero pesato. Se i prezzi del petrolio e delle altre commodities restano depressi c’è il potenziale per altri default quest’anno».

La capacità di resistenza dei produttori di shale oil - che nella maggior parte dei casi sono piccole società, indebitate fino al collo - ha sorpreso anche molti esperti del settore, compresi probabilmente i sauditi, che hanno spinto l’Opec a non chiudere i rubinetti nella convinzione che con il crollo del petrolio sarebbero stati gli americani a farsi da parte, a causa degli alti costi produttivi. Questi ultimi si sono ridotti sensibilmente, con ripercussioni gravi sulle società di servizi all’industria petrolifera, che - tolti i giganti del settore - versano ora in condizioni precarie: un rapporto diffuso ieri dall’Energy Information Administration (Eia) indica che, in base a dati estrapolati dall’indice dei prezzi alla produzione, tra giugno 2014 e maggio 2015 c’è stato un calo del 19,6% per i costi di perforazione, del 12,5% per la sabbia utilizzata nella fratturazione idraulica e dell’1,4% per attività di supporto ai pozzi estrattivi.

Nonostante questo - osserva la stessa Eia - i produttori indipendenti di Oil & Gas nordamericani nello stesso periodo hanno visto crollare il risultato netto del 574%: da un utile di 2,9 miliardi a una perdita complessiva di 13,9 miliardi di dollari (i dati si riferiscono a 57 società).

A dispetto di quanto si pensasse, il denaro per andare avanti finora non è mancato. Benché le banche abbiano iniziato a ridurre le linee di credito, solo nei primi 4 mesi del 2015 una quarantina di società hanno collocato nuove azioni riuscendo a raccogliere 18,7 miliardi di dollari, altre 35 hanno emesso obbligazioni azionarie per 26,4 miliardi. Intanto, nel giro di sei mesi i fondi di private equity hanno raccolto 35 miliardi da investire nel settore.

Il lato negativo della medaglia è che i bilanci si stanno deteriorando in modo drammatico: l’indebitamento sale vertiginosamente proprio mentre gli utili si riducono al lumicino - o si trasformano in perdite. Goldman Sachs, che ha analizzato 29 produttori Usa di shale oil, prevede che quest’anno il debito netto sarà in media il doppio dell’Ebitda (nel 2014 erano all’incirca pari).

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