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Questo articolo è stato pubblicato il 18 giugno 2015 alle ore 06:39.

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Telecom Italia avrà a giorni un nuovo azionista di riferimento al 15%. Secondo quanto risulta, infatti, il board di Vivendi potrebbe riunirsi forse già entro il fine settimana per dare il via libera all’ascesa fino al 15% nel capitale dell’incumbent tricolore. Il presidente Vincent Bolloré avrebbe convinto il consiglio a “cogliere l’opportunità” offerta dalla cessione della brasiliana Gvt a Telefonica, operazione che ha massimizzato l’introito per la media company transalpina grazie al pagamento supplementare in natura: una quota di minoranza di Telefonica Brasil senza diritti di voto, ma soprattutto l’8,3% del capitale votante di Telecomm Italia. Bollorè si sarebbe già assicurato la possibilità di arrotondare fino al 15%, senza il rischio di far scappare i prezzi, con strumenti derivati, a un valore predeterminato.

Fin dallo scorso settembre, quando era stato raggiunto l’accordo su Gvt con il gruppo guidato da Cesar Alierta, Bollorè aveva dichiarato che Vivendi sarebbe stata in Telecom «azionista di lungo periodo», lasciando viva sul mercato la curiosità sui motivi del ritorno di fiamma per le tlc, subito dopo che il gruppo aveva smantellato la propria divisione nel settore, un portafoglio di quote di controllo che andava dall’operatore mobile francese Sfr, all’incumbent nord-adfricano Maroc Telecom, alla rete in fibra ottica brasiliana Gvt. Cessioni realizzate in rapida successione che hanno reso Vivendi ricca di liquidità (un tesoretto dell’ordine di 10 miliardi che ha ribaltato la precedente, pesante, posizione debitoria), ma anche lasciato il gruppo - ridimensionato alla pay tv francese Canal Plus e alla musica dell’americana Universal - senza più una strategia definita. O meglio con una strategia tutta da costruire. Il nuovo corso, per bizzarria della sorte, potrebbe partire proprio dal rientro (forse a termine) nel settore delle tlc, con la quota importante, ma pur sempre di minoranza, in Telecom Italia.

Bolloré, dice chi lo conosce, è convinto che Telecom possa ancora esprimere valore, perchè è l’unico dei grandi gruppi europei del settore a non dover fronteggiare la concorrenza del cavo, che in Italia, per ragioni “storiche” dell’assetto televisivo, non è mai arrivato. L’idea sarebbe quella di mettere in piedi tempestivamente gruppi di lavoro per studiare come sviluppare contenuti attraenti per la nuova generazione di utenti del “quadruple play”, telefonia fissa e mobile in banda ultralarga che renda fruibili in modo efficiente video e musica. Poi da lì si vedrà. Lo stesso Bolloré ha però “elegantemente” escluso un intervento di Vivendi in Mediaset Premium, osservando che se lui personalmente ama l’Italia, la maggioranza del suo consiglio non avrebbe visto con favore l’ipotesi. Peraltro Telecom ha ancora in corso colloqui con la pay tv del Biscione per arrivare a stringere un accordo commerciale, sulla falsariga di quello da poco concluso con Sky.

Ma c’è attesa anche per verificare se, e come, Vivendi vorrà essere rappresentata nel consiglio di Telecom, che al momento è composto in maggioranza da indipendenti, lìultimo lascito di Telco. Teoricamente ci sarebbe spazio per integrare il consiglio, visto che lo Statuto della società ammette un board più numeroso dell’attuale. Ma per farlo occorrerebbe convocare un’assemblea. Più semplice e veloce sarebbe invece la cooptazione in consiglio di un paio di amministratori espressi dal nuovo azionista se qualcuno degli attuali componenti decidesse di fare un passo indietro per consentirlo. Nel caso, i nomi più gettonati sono quelli del ceo di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine (che conosce bene l’Italia per aver lavorato nel gruppo Mondadori), e di Dominique Delport, direttore generale di Havas (gruppo della pubblicità controllato dallo stesso Bolloré), che ha fatto ingresso in aprile nel supervisory board di Vivendi insieme a Tarak Ben Ammar, già presente da anni nel cda di Telecom.

Si vedrà. Intanto da ieri la compagine Telco è ufficialmente sciolta, con la stipula dell’atto notarile di scissione nelle quattro subholding che fanno capo agli azionisti: Telefonica, che girerà l’8,3% ai francesi, Generali, Mediobanca e Intesa-SanPaolo, tutti in annunciata uscita dal capitale Telecom. Il 17 non porta fortuna: l’avventura Telecom, iniziata nel 2007, ha regalato alla holding, che deteneva fino a ieri il 22,4% della compagnia di tlc, minusvalenze complessie dell’ordine di 5 miliardi. Qualche giorno ancora, per i tempi necessari alla registrazione presso il Registo delle imprese, e le azioni saranno girate.

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