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Questo articolo è stato pubblicato il 30 agosto 2015 alle ore 08:14.

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Dufry e la fatidica «Quota 60». Il colosso svizzero dei duty free, fresco proprietario del gruppo italiano Wdf (ha rilevato a inizio agosto il 50,1% dalla famiglia Benetton per 1,3 miliardi di euro) sta pian piano arrotondando la sua quota. E senza nemmeno aspettare l’Opa che le regole di mercato le impongono di lanciare, e che partirà in autunno.

La proverbiale efficienza svizzera si è già messa in moto: Dufry sta rastrellando titoli Wdf sul mercato. In meno di un mese ha racimolato il 10,38%. E così gli elvetici hanno raggiunto la soglia del 60%, che mette al sicuro il controllo della società. Indipendentemente dall’Opa.

Perché gli svizzeri vogliono stringere? In cassa Dufry ha già la liquidità necessaria: la scalata «costa» 3,6 miliardi (è il valore complessivo di Wdf, compreso il debito). Una cifra monstre che verrà finanziata con un aumento di capitale (da 2 miliardi di euro) e con l’emissione di bond (per 700 milioni) e debito bancario (800 milioni): tra le banche finanziatrici c’è anche l’italiana UniCredit. Un misto di capitale e debito, dunque. Con il prezzo di mercato allineato a quello dell’Opa e in ogni caso obbligata a comprare allo stesso prezzo offerto ai Benetton (10,25 euro ad azione) perchè aspettare l’Opa? Meglio portarsi avanti. Questa sarebbe la spiegazione della fretta di agosto.

Il motivo è tutto sommato comprensibile. Per Dufry l’«italian job» è un’operazione strategica e cruciale: permetterà di diventare un big mondiale dall’alto di un giro d’affari aggregato di quasi 8 miliardi di euro e un Mol di 1 miliardo. E di controllare un quarto del mercato globale dei duty free.

Criticità? Quando fu annunciata la vendita, il mercato rimase un po’ deluso. Si aspettava un prezzo più rotondo. All’epoca la casa di brokeraggio Equita, una delle più autorevoli in Italia, lamentava un prezzo poco generoso, considerando il gigante che nascerà dalla fusione e le sinergie che si potranno estrarre. E d’altronde in Borsa le azioni Wdf erano arrivate sfondare quota 11 euro. È anche vero, però, che Dufry paga Wdf quasi 14 volte il Mol, un multiplo molto sopra la media del mercato.

Tecnicamente è possibile un rilancio, se il mercato non dovesse consegnare titoli. Ma con ormai Dufry al 60%, il potere negoziale delle minoranze è di fatto ridotto ai minimi termini. Anche nello scenario peggiore, e poco verisimile, di zero adesioni, Dufry avrebbe comunque una maggioranza blindata. E anzi, paradossalmente ogni azione non consegnata, saranno, in casa Dufry, soldi risparmiati per un’azienda che di fatto già controlla.

Il vero nodo, semmai, sarà il debito: perchè Dufry oltre a indebitarsi per comprare Wdf (per 1,5 miliardi), si troverà come eredità anche quello della società ex Benetton. E quando in casa Autogrill hanno fatto la scissione della parte dei duty free, sulla newco Wdf hanno caricato la maggior parte del debito: oggi è poco sotto il miliardo. In più l’anno scorso Dufry aveva comprato, spendendo un altro miliardo e mezzo, Nuance, i duty free un tempo appartenuti alla famiglia Stefanel. Ci vorranno molti flussi di cassa per ripagare tutto questo shopping. Ma i 100 milioni di euro di risparmi attesi, se arriveranno,saranno una buona base di partenza.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

.@filippettinews

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