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Questo articolo è stato pubblicato il 09 agosto 2012 alle ore 06:45.

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Certo, come detto, con numeri molto più contenuti. È proprio nel 2002, quando non a caso si inizia a pensare al protocollo d'intesa anti-crisi, che comincia la curva recessiva del distretto murgiano. Attualmente la sponda materana fatica ad arrivare a 46 aziende che fatturano poco meno di 200 milioni e occupano 1.500 dipendenti. Il versante pugliese arriva a poco più di un centinaio di aziende che danno lavoro a circa 3.500 unità e sviluppano un giro d'affari intorno ai 500 milioni. Soprattutto grazie alla Natuzzi. E poi c'è l'export. Anch'esso in picchiata. Nel 2009 sono stati esportati mobili per un valore di 57 milioni, in calo del 31,99% rispetto al 2008 (dati Istat). Ma la parabola discedente è proseguita. Secondo il Monitor dei Distretti del Mezzogiorno elaborato da Intesa Sanpaolo, il salotto della Murgia ha perso tra gennaio-settembre 2008 e lo stesso periodo 2011 il 25,7% di export pari a 107,7 milioni. L'asse delle vendite da Europa e Nord America si è spostato in Brasile, India, Russia e Cina.

La disoccupazione, poi. Nella zona è al 55%, anche se tra i primi undici mesi del 2011 e lo stesso periodo del 2010 le ore di cassa integrazione da 5,8 milioni sono scese a 4,8, ma rispetto al 2009 le cifre sono comunque raddoppiate.

«La profonda crisi che da un decennio attanaglia il nostro settore - spiega Pasquale Natuzzi - impone scelte e decisioni non più rinviabili. Un business un tempo trainante, un miracolo tutto meridionale, un esempio concreto di creatività e artigianalità italiana, illuminato da imprenditori cui tutti riconoscono il merito di aver portato la bandiera dell'eccellenza e del made in Italy nel mondo, rischia di scomparire cedendo il passo alla disoccupazione e al sommerso. Ecco perché - aggiunge l'inventore del salotto di pelle alla portata di tutte le tasche - l'accordo di programma è uno degli strumenti necessari per attrarre investimenti e favorire lo sviluppo di nuove imprese sul territorio. Speriamo che il governo attuale sciolga ogni nodo e proceda».

Il patron del colosso di Santeramo, comunque concentrato nella battaglia contro quello che ha definito "meid in itali cinese" (parliamo di una comunità di 2.500 immigrati, il 15-20% irregolari, che animano laboratori e sottoscale non sempre a norma), chiede dunque l'accordo di programma insieme agli altri marchi da anni. E paventa la scomparsa del settore. Addirittura si è detto disponibile a destinare a "prezzo politico" due suoi impianti produttivi ad Altamura, adesso inattivi, per coop di addetti da riqualificare ad addività differenti da quelle del salotto: «In una logica di sistema si potrebbe formare manodopera per l'arredo. Basti pensare che colossi come Ikea hanno lasciato l'estero per l'Italia. Non potremmo – si domanda ancora Di Taranto – candidare i nostri addetti a fornitori di quest'azienda? Ma occorre firmare l'accordo di programma».

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