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Questo articolo è stato pubblicato il 04 febbraio 2013 alle ore 09:30.

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Hanno lasciato lo stabilimento di Pomigliano d'Arco intorno a mezzogiorno i 18 addetti (uno di loro, Antonio Di Luca, è in permesso per la campagna elettorale) iscritti alla Fiom e reintegrati in azienda come previsto dalla sentenza della Corte d'Appello di Roma, nell'autunno scorso. Questa mattina si erano presentati ai cancelli del "Gianbattista Vico" al primo turno ma non hanno potuto regolarmente iniziare a lavorare. L'azienda ha comunicato loro che non è possibile ricollocarli sulle linee: formalmente sono dispensati dal lavoro, senza dunque una mansione, anche se regolarmente restribuiti.

Contro questa decisione la Fiom ha annunciato l'avvio di tutte le azioni giuridiche possibili, «per impedire il perdurare di questa situazione inaccettabile» come ha sottolineato il segretario generale dei metalmeccanici della Fiom Maurizio Landini. Un comportamento, quello del Lingotto, definito da Landini "non solo autoritario, ma un vero e proprio sberleffo alla Costituzione e alle leggi del paese". Secondo Landini "la scelta di pagare i 19 lavoratori purché non siano presenti in
fabbrica conferma come sia in atto un'esplicita politica discriminatoria nei confronti dei lavoratori che scelgono di iscriversi alla Fiom".

I 18 addetti sono rimasti per tutta la mattina all'interno della saletta dove hanno seguito i corsi di formazione nelle settimane scorse. La loro intenzione era di aspettare comunque una comunicazione formale, per iscritto, dal Lingotto sul mancato ricollocamento in azienda. "Ci siamo presentati questa mattina – ha spiegato Stefano Birotti, uno dei 18 addetti raggiunto telefonicamente – dopo che per una settimana, periodo in cui lo stabilimento è rimasto chiuso per cassa integrazione, non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione dall'azienda. Questa mattina non siamo riusciti a marcare la presenza".

Il nuovo assetto societario
Un nuovo round, dunque, nei difficili rapporti tra i metalmeccanici della Cgil e la Fiat. Tutto questo all'indomani della comunicazione del Lingotto, venerdì scorso, sul riassorbimento in Fiat Group Automobiles della newco di Pomigliano. Una soluzione che di fatto risolve la frattura tra le due imprese presenti a Pomigliano (la newco Fabbrica Italia Pomigliano, che ha finora riassorbito oltre 2mila addetti, e Fiat Group Automobiles, a cui fanno capo 900 addetti rientrati comunque in azienda più i 1.400 rimasti esclusi, con la cassa integrazione straordinaria a zero ore) e che porterà all'allungamento dei tempi della cig fino a marzo 2014, con l'obiettivo "di rappresentare _ scrive in un comunicato il Lingotto - una più forte garanzia di ricollocazione, quando le condizioni di mercato lo consentiranno, per quei lavoratori di Fiat Group Automobiles dello stabilimento ancora in Cassa Integrazione".
Il nuovo assetto societario annunciato la settimana scorsa, se da un lato dovrebbe portare ad un superamento della procedura di mobilità e di licenziamento collettivo a carico di 19 addetti di Pomigliano, avviata dal Lingotto contestualmente al reintegro dei 19 della Fiom stabilito dalla Corte d'appello di Roma, dall'altro lato non risolve il problema della presenza nello stabilimento di iscritti e delegati della Fiom. E rilancia una fase di forte conflitto tra il Lingotto e il sindacato guidato da Maurizio Landini.

Sia le modalità del nuovo anno di cassa integrazione straordinaria a Pomigliano che probabilmente il tema della soluzione per i licenziamenti collettivi saranno al centro dell'incontro di giovedì prossimo fissato a Pomigliano tra l'azienda e le organizzazioni sindacali firmatarie del contratto Fiat (Fim-Cisl, Uilm, Fismic e Ugl).

Il precedente di Melfi
La vicenda che questa mattina ha coinvolto a Pomigliano 18 operai fa tornare alla mente il braccio di ferro del 2010 a Melfi sui tre operai licenziati nel luglio 2010 per presunto sabotaggio della produzione: erano stati accusati di aver bloccato, durante uno sciopero, alcuni carrelli che contenevano componenti, provocando così la fermata della catena di montaggio.
Il giorno fissato dal tribunale per il ritorno in fabbrica, il 23 agosto 2010, gli operai si presentarono regolarmente ai cancelli: ai tre fu consentito di varcare i tornelli, come accaduto questa mattina a Pomigliano, ma non di raggiungere il loro posto di lavoro. Anche in quel caso, i tre operai furono tenuti fuori dal processo produttivo ma regolarmente retribuiti, come la Fiat aveva comunicato in una lettera. Nel caso di Melfi, però, a pesare nella schermaglia legale c'era l'accusa di sabotaggio con annesso processo non ancora arrivato alle battute finali, visto che manca il giudizio della Cassazione. Un elemento che invece a Pomigliano non c'è.
Un licenziamento, quello di Antonio Lamorte e Giovanni Barozzino (allora delegati Fiom) e Marco Pignatelli (iscritto al sindacato dei metalmeccanici della Cgil), considerato illegittimo dal Tribunale del Lavoro di Melfi in primo grado, sentenza poi ribaltata in appello, un anno dopo. All'appello è seguito un nuovo ricorso della Fiom che, nel febbraio dell'anno scorso, ha ottenuto nuovamente il reintegro dei tre addetti, senza comunque l'assegnazione di una mansione. Anche loro a casa, regolarmente retribuiti. Una diatriba legale su cui comunque dovrà pronunciarsi ancora la Cassazione, dopo il ricorso presentato da Fiat un anno fa.

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