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Questo articolo è stato pubblicato il 05 giugno 2013 alle ore 10:55.

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La crisi ha provocato la distruzione del 15,3% del potenziale manifatturiero italiano, con una punta del 41,2% negli autoveicoli e cali di almeno un quinto in 14 settori su 22. In condizioni analoghe a quelle italiane versano le industrie francesi e spagnole – il potenziale manifatturiero è tornato ai livelli degli anni 90 -, mentre è in controtendenza la Germania che registra un incremento (+2,2%).

Hanno chiuso i battenti 55mila imprese
È il quadro che emerge negli scenari industriali tracciati dal Centro studi di Confindustria che evidenzia come durante la crisi, dal 2009 al 2012 «le imprese cessate sono 55mila», mentre dal 2007 al 2012 il «numero delle imprese manifatturiere si é contratto di circa l'8,3%, per effetto congiunto di iscrizioni e cessazioni», pari a 32mila unità; le Pmi sono state più colpite. Uno dei principli ostacoli è rappresentato dalla carenza di liquidità e di finanziamenti che «mette a rischio di fallimento anche le imprese sane»: lo stock di prestiti si é ridotto soprattutto nell'industria, sceso di 26miliardi di euro tra il 2011 e il 2013 (-10,1%), nelle costruzioni (-9 miliardi) e nelle attività immobiliari e professionali (-14 miliardi), più contenuto il calo nel commercio, trasporto e comunicazioni (-2 miliardi). «È essenziale rompere il circolo vizioso recessione-credit crunch e sviluppare canali alternativi di finanziamento».

Persi 539mila occupati
A causa della crisi il numero degli ocupati è sceso del 10% nel manifatturiero, anche se in Italia la contrazione è stata inferiore rispetto alle «maggiori economie avanzate ad esclusione di quella tedesca», si prevde che questa tendenza negativa proseguirà nei prossimi mesi, in aggiunta ai 539mila occupati persi dal 2007 al 2012.
Tra i paesi avanzati L'Italia ha avuto l'andamento peggiore in termini reali, anche se a prezzi e cambi correnti mantiene ancora la settima posizione nella graduatoria globale dell'output industriale, seconda in Europa alla sola Germania, che vanta una quota quasi doppia.

Fondamentale leva per la crescita
Hanno successo i Paesi che detengono e ampliano le conoscenze manifatturiere, cioè l'asset fondamentale per competere. Ma perché concentrare gli sforzi sul manifatturiero? «Perché il maggior peso del manifatturiero produce maggiore crescita dell'intero sistema economico», spiega ildirettore del Csc, Luca Paolazzi. «È il motore dello sviluppo grazie al più forte dinamismo della sua produttività, per cui lo spostamento di risorse verso l'industria innalza lo sviluppo generale della produttività e quindi di tutta l'economia». Nei paesi avanzati il Csc ha calcolato che un aumento di un punto della quota del manifatturiero si associa a un maggior incremento annuo del Pil di 1,5 punti percentuali, negli emergenti il guadagno è di 0,5 punti. Il centro studi di Confindustria sottolinea come l'Italia, come le altre economie avanzate, detiene un livello di industrializzazione (misurato sul valore aggiunto pro-capite) che è un multiplo di quello degli emergenti più importanti (l'italiano è sei volte quelle cinese). Ciò rispecchia una dotazione maggiore di competenze, come risulta dall'alto indice di complessità economica.

L'Italia è quinta per valore aggiunto da esportazioni manifatturiere
Altro elemento su cui l'Italia può puntare è la maggiore diversificazione settoriale e la capacità di estrarre un alto valore aggiunto dal suo export. Il Csc ha stimato il valore aggiunto contenuto negli scambi internazionali di beni manufatti: «Questa rielaborazione consolida il primato della Cina e migliora la posizione degli Stati Uniti, che si avvicinano alla Germania, e del Giappone, mentre l'Italia sorpassa la Francia», continua Paolazzi. Dall'analisi del valore aggiunto generato dagli scambi con l'estero si conferma che l'Unione europea è un polo produttivo fortemente integrato, trainato dalla locomotiva tedesca. In particolare l'Italia, in termini di valore aggiunto é la quinta potenza mondiale, segno di una buona capacità di mantenere il processo produttivo all'interno del paese e dell'inserimento nella catena del valore, cioé di essere fornitori anche di altri paesi manifatturieri, per esempio nella componentistica auto verso la Germania. Questi asset del manifatturiero italiano «possono essere altrettante leve per una politica economica che punti sull'industria e sulla crescita».

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