Nei piatti della sua tradizione gastronomica la Calabria porta i sapori della terra e del mare. Di origine certamente contadina, la cucina calabrese sfrutta cibi poveri per creare pietanze dal gusto inconfondibile. Tra queste certamente simbolo dell’intera regione è la ‘Nduja. Il nome trae origine dal verbo introdurre e non a caso si tratta di una sorta di salume cremoso. Per farlo vengono infatti usati tutti gli scarti del maiale: quello tradizionale contiene stomaco, intestino, milza, parti del muso, grasso, polmoni, trachea, cuore e chi più ne ha più ne metta. All’impasto viene poi aggiunto il peperoncino nella proporzione di 2 a 1 e quel che risulta viene insaccato nel budello e fatti affumicare.
La ricetta: Pasta con l’Nduja
Ingredienti (4 persone):
Per la pasta: 320 gr di scialatelli
Per il condimento: 80 gr di nduja, 1 cipolla di tropea, 350 gr di polpa di pomodoro, olio, basilico, sale, acqua calda
Preparazione: per questo classico della cucina calabrese partire dalla ‘Nduja ed eliminare il budello. Quindi ponetela in una ciotola e schiacciatela con la forchetta finché non si sarà ammorbidita. A parte tagliate a rondelle sottili la cipolla e fatela soffriggere a fuoco lento per circa cinque minuti con olio e un cucchiaio abbondante di acqua calda. Aggiungete la ‘Nduja tagliata a pezzettini e dell’altra acqua calda, ancora una volta un cucchiaio abbondante, e mescolate fino a quando la ‘Nduja non si sarà sciolta. A questo punto unite la polpa di pomodoro, lasciate cuocere a fuoco moderato per circa 15 minuti e poi cospargete con qualche fogliolina di basilico. Nel mentre fate cuocere gli scialatelli in acqua salata e scolateli al dente. Uniteli al condimento, mischiateli e fateli saltare qualche istante per insaporirli. Infine, una volta regolato il sale, potete servire gli scialatelli ben caldi.
La prelibatezza. La produzione di formaggi tipici è uno dei pezzi forti della Sila, in particolare del noto Caciocavallo Silano, conosciuto e apprezzato fin dai tempi di Ippocrate, medico e filosofo greco che visse tra il 460 e il 370 avanti Cristo e (come più avanti Plinio) ne decantò i pregi in uno dei suoi scritti. Può essere mangiato da solo, semplicemente col pane, o usato per la farcitura degli involtini di melanzana, nella pasta ripiena alla calabrese, nella parmigiana, ma anche come condimento per la pasta e perfino in versione grigliata, come per il tomino.
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