A Chiesa Valmalenco, il principale centro abitato a valle degli invasi di Campo Moro e Alpe Gera, in pochi dimenticano quei due giorni. Il 4 e 5 giugno 1988 il Giro d’Italia arrivò e ripartì dalla cittadina che prende il nome dall’ominima valle: furono due tappe chiave di quell’edizione vinta poi dal biondo statunitense Andrew Hampsten, primo corridore non europeo a conquistare la corsa rosa.
Il 4 giugno, si partì da Bergamo con arrivo in salita a Chiesa Valmalenco dopo 129 chilometri e soprattutto dopo il duro Passo San Marco: vincitore solitario lo svizzero Tony Rominger, che sette anni dopo vinse anche il Giro. Ma la vera frazione rimasta negli annali – forse la più famosa di tutta la storia del Giro – fu quella del giorno successivo, che in 120 km portava da Chiesa Valmalenco a Bormio passando per l’Aprica (ascesa non impossibile) e il temibile Passo Gavia. Una tappa che divenne “dantesca” per la bufera di neve che investì i corridori salendo agli oltre 2.600 metri del passo, allora ancora sterrato nella parte finale. Di quel giorno si è scritto, detto e raccontato tanto: la maglia rosa Franco Chioccioli alla deriva; l’olandese Van Der Velde che scollinò in testa e affrontò la discesa in maglietta salvo fermarsi subito praticamente assiderato; un altro figlio dei tulipani, Erik Breukink, che vinse a Bormio davanti.
Quello che rimane tuttavia ancora impresso di quel giorno – nonostante siano passati esattamente 30 anni – è l’immagine di quei ciclisti che si arrampicavano sul Gavia come pupazzi di neve: non già come le macchine da guerra di oggi, che viaggiano con misuratori di potenza e radiolina incorporati, ma semplici uomini che lottavano a mani e ruote nude con la natura. Forse l’ascesa del Gavia poteva essere annullata o neutralizzata – i corridori protestarono duramente alla conclusione della tappa e il giorno successivo – e sicuramente la decisione degli organizzatori di mantenere fermo l’arrivo a Bormio mise a repentaglio la sicurezza del gruppo, ma quel giorno resterà impresso in modo indelebile nella storia del ciclismo. Anche perché in fondo, come accade quasi sempre, la strada premiò il più forte: Hampsten, che arrivò secondo al traguardo e conquistò la maglia rosa, poi difesa con autorità fino a Milano.
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