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Questo articolo è stato pubblicato il 29 settembre 2010 alle ore 18:25.
L'odissea del disegno di legge collegato lavoro continua, titolano le agenzie di stampa. E a ragione. Il testo approvato oggi dal Senato in sesta lettura torna ora alla Camera per il via libera definitivo (in settima lettura) dopo una navigazione parlamentare di ben due anni.
Nato come stralcio di un ddl «collegato» alla finanziaria 2009 il testo era partito da 9 articoli e 39 commi ed è arrivato all'attuale formato omnibus di 50 articoli e più di 140 commi.Il titolo del provvedimento parla da solo: «Deleghe al governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro».
Un'etereogeneità di fini che rappresenta l'antimateria di quella che dovrebbe essere il «buon legiferare» che, solo, può rendere «conoscibili e comprensibili» una norma.Lo ha scritto il capo dello stato, era la fine di marzo, nelle motivazioni della sua richiesta di riesame alle camere: prima e unica volta, in questa legislatura, in cui il Quirinale si è rifiutato di promulgare una legge per chiederne una nuova deliberazione come prevede la Costituzione (articolo 74). Nel merito il presidente della Repubblica aveva posto una serie di rilievi soprattutto sul provvedimento più delicato: le disposizioni su conciliazione e arbitrato nelle controversie individuali di lavoro (i primi nove commi dell'articolo 31). Norme che introducono la possibilità di comporre le liti di lavoro con la via alternativa dell'arbitro in luogo del giudice.
Il testo finale ha recepito tutti i rilievi del Colle: viene garantito che la scelta del lavoratore, con firma di una clausola compromissoria, avvenga dopo il periodo di prova e non al momento dell'assunzione, ed è pure assicurato che davanti a un licenziamento nessun arbitro prenderà mai il posto del giudice. Purtroppo su questa norma, annegata in decine di altre che in molti casi nulla hanno a che fare con il diritto del lavoro, s'è scatenata la contrapposizione classica tra destra e sinistra, e tra sindacati interessati a tentativi di semplificazione e quelli che invece sono più schierati a difesa dei «diritti indisponibili» (la Cgil).