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Norme e Tributi Lavoro

I grandi studi d'affari sfidano la crisi e tornano a investire sulla nuova generazione

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre 2010 alle ore 17:27.

Un anno fa gli studi d'affari pagavano i praticanti per ritardare l'inizio del periodo di training in studio, l'equivalente anglosassone del praticantato italiano. Oggi tornano a pagarli a peso d'oro. Stipendio annuale superiore alle 35mila sterline (40mila euro), benefit aggiuntivi tra cui bonus basati sulla performance e corsi di formazione, e la possibilità di una rapida carriera.

Nonostante le condizioni del mercato siano ancora incerte e altri licenziamenti non siano esclusi, le law firm investono sulla nuova generazione. È il caso a Londra di Hogan Lovells che pochi giorni fa ha annunciato tagli nel dipartimento fiscale e che intanto cerca un candidato trainee che si occupi di diritto finanziario e energia.

Lo scorso anno lo studio aveva invece chiesto ai futuri praticanti di ritardare l'inizio dell'esperienza professionale. Una strategia comune negli studi d'affari che in molti casi avevano pagato i futuri impiegati in cambio di un anno a casa, tra cui Norton Rose, che aveva pagato 55 futuri praticanti 10mila euro, «sperando che usino i soldi in qualcosa di utile», aveva dichiarato all'ora la firm.

Lo studio che oggi paga di più è invece l'americano Sullivan & Cromwell, che al candidato che supera la selezione offre un contratto con stipendio annuale compreso tra le 50 e le 55mila sterline (fino a 65mila euro). Il giovane professionista selezionato inizierà a lavorare in studio nel settembre 2013 e collaborerà con 4 dipartimenti diversi per un periodo complessivo di 2 anni di pratica.

L'inglese Freshfields offre invece un contratto che prevede 39mila sterline di stipendio (46mila euro) e benefit flessibili stabiliti in base alla performance. Lo studio ha sede anche in Italia, ma a Roma e Milano la selezione dei praticanti è meno formalizzata. «A differenza dell'Inghilterra, qui l'ingresso in studio non è stabilito dalle classi di laurea, ma avviene con continuità durante l'anno», spiega Gian Luca Zampa, socio di Freshfields e responsabile della selezione nella sede romana. Negli ultimi anni sono entrati in studio tra i 10 e i 15 giovani professionisti l'anno e il numero non è stato modificato dalla crisi.

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Anche perché il praticante costa meno di un associate con seniority più elevata. «Questo permette, per determinate pratiche, un gestione più efficiente sia per lo studio sia per il cliente», precisa Zampa, che spiega che dopo i primi giorni di ambientamento anche chi non ha il titolo di avvocato può rimboccarsi le maniche e contribuire al processo di ricerca giuridica oppure intervenire nella traduzione di contratti o accordi, «un altro modo per imparare il lavoro». Per questo motivo Freshfields non ha tagliato sulla selezione delle giovani leve neanche negli ultimi due anni, durante i quali qualche studio ha modificato la propria politica di recruiting.

«Certamente chi non ha un minimo di esperienza non può occuparsi, per esempio, della due diligence. Ma tra l'inizio della carriera e il raggiungimento del titolo di avvocato passano almeno tre anni, e già dopo alcuni mesi i professionisti guadagnano una certa indipendenza nell'organizzazione del lavoro», continua l'avvocato.

In Italia l'ingresso negli studi è più flessibile. Senz'altro per l'inquadramento professionale (gli avvocati non sono dipendenti ma collaboratori indipendenti), ma anche perché «il primo impatto con la vita lavorativa può essere diverso dalle aspettative e capita che alcuni ragazzi che si aspettavano meno responsabilità e ritmi di lavoro diversi preferiscano lasciare», spiega Zampa che aggiunge che «allo stesso modo il processo di selezione è continuo e il profilo adatto trova spazio anche quando i volumi di lavoro sono inferiori. Il turnover è elevato».


Anche in Italia, però, gli studi d'affari pagano bene i nuovi ingressi. «Da noi i praticanti lavorano veramente», interviene Tommaso Amirante, socio dell'americano Latham & Watkins che all'estero è stato tra le firm che hanno pagato i trainee per ritardare l'inizio della pratica. «Gli stipendi d'ingresso sono gratificanti, ma non si tratta di generosità. I collaboratori vengono immediatamente responsabilizzati e "messi a frutto"», spiega il partner. Nel mercato italiano Latham è al momento tra gli studi che pagano meglio le nuove leve.

Come nel caso dello studio inglese, da Latham in Italia l'ingresso dei nuovi profili è molto più flessibile che all'estero. «Negli Stati Uniti i contratti di pratica sono firmati anche 2 anni prima che un giovane si laurei. Per questo gli studi hanno dovuto fare ricorso a strumenti estremi, tra cui pagare i trainee per non lavorare», spiega Amirante. «Questa scelta va contestualizzata in un sistema completamente diverso. Chi chi studia legge si sobbarca un debito ingente per pagare la retta universitaria. Una parte degli stipendi d'oro ritorna alle banche e non nelle tasche dei professionisti».

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