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Questo articolo è stato pubblicato il 24 marzo 2011 alle ore 07:41.

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MILANO. Consob chiamata a risarcire i risparmiatori traditi. Senza la scusante di dovere effettuare controlli solo preventivi e di natura formale e grazie all'applicazione del Codice e civile. La Cassazione consolida l'orientamento che vede la Commissione responsabile per omessa o carente vigilanza sui protagonisti della raccolta del risparmio.

Con la sentenza n. 6681 depositata ieri, della Terza sezione civile, la Cassazione ha così respinto il ricorso presentato da Consob contro la condanna al risarcimento dei danni che le venne inflitta nel 2007 dalla Corte d'appello di Roma. A dovere essere indennizzato è un gruppo di risparmiatori che perse tutto quanto investito su sollecitazione della Sfa (Società servizi finanziari amministrativi), una società di fatto collegata a due altri enti che facevano sparire le quote versate e che non erano neppure autorizzate alla raccolta del risparmio.

Di fronte all'azione avviata da un folto drappello di investitori le decisioni di merito, sia del tribunale di Roma sia, come detto, della Corte d'appello, avevano visto riconoscere la responsabilità della Consob. Che ora trova una precisa determinazione nelle conclusioni cui approda la Cassazione. La Commissione, tra i motivi del ricorso, aveva sostenuto che erano state eccessivamente dilatate le disposizioni del regolamento di attuazione delle legge n. 1 del 1991 sulla disciplina dell'attività di intermediazione finanziaria: per Consob, infatti, la natura dei controlli che potevano essere effettuati era più formale che sostanziale e il momento in cui effettuarli «prodromico» al rilascio delle autorizzazione allo svolgimento della raccolta del risparmio da parte della società.

Consob riteneva così che una tale «condotta virtuosa», indirizzata a una garanzia totale e e complessiva del risparmio, «non sarebbe richiesta dalla legislazione istitutiva della commissione come ente pubblico indipendente la cui funzione fondamentale è quella del controllo dei mercati di borsa cui si aggiunge con la novellazione della legge del 1991, n. 1, la funzione del controllo al momento del rilascio della autorizzazione alle società di intermediazione mobiliare con il rinvio per le norme di dettaglio al potere regolamentare della Consob».

Il parere della Cassazione è stato però del tutto diverso. tanto da accantonare l'ipotesi che la successione di norme nel tempo potesse avere come conseguenza un indebolimento della imputabilità alla Commissione. L'illecito contestato alla Sfa è stato invece protratto nel tempo, con un effetto di impoverimento nei confronti dei risparmiatori continuato e, in conclusione, irrimediabile, visto che le società interessate si sono ben guardate dal porre in essere condotte di tipo riparativo. La sentenza ha valorizzato perciò la funzione di tutela del risparmio in diretto collegamento con gli articoli 41 e 47 della Costituzione.

Per la Corte un'ampia fetta della gestione del risparmio realizzata dalle società di intermediazione interessate dal procedimento rientra nel perimetro di applicazione della legge nuova che conferisce poteri sostanziali di vigilanza e controllo «nei confronti del soggetto sollecitatore ed a tutela del soggetto sollecitato che è il risparmiatore». La Consob, insomma, malgrado la tesi difensiva rivolta a minimizzare l'imputazione per colpa omissiva, alla luce delle stesse disposizioni che ne accrescono i poteri, «non è soltanto organo di vigilanza del mercato dei valori, ma è anche organo di garanzia del risparmio pubblico e privato».

La Consob, nel caso specifico, ben avrebbe potuto esercitare un controllo sulla onorabilità degli amministratori della società, una verifica più attenta che avrebbe messo in evidenza la mancata produzione dei carichi pendenti in capo al patron della stessa, un'attenzione più puntuale alla cessione delle quote di controllo e alla nuova amministrazione che ne scaturì. La conclusione della Cassazione è che la Consob deve svolgere la sua attività sia nel rispetto delle norme speciali che la riguardano sia nell'osservanza del principio ordinario del "neminem laedere", da collegare alle misure costituzionali di legalità, imparzialità e buona amministrazione. In questa prospettiva la Commissione è soggetta al rispetto dell'articolo 2043 del Codice civile sulla produzione del danno ingiusto e sul conseguente risarcimento.

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