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Questo articolo è stato pubblicato il 14 novembre 2011 alle ore 14:39.

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La possibilità di utilizzare la forma societaria per l'esercizio dell'attività professionale apre indubbiamente uno scenario del tutto nuovo rispetto al divieto che è stato vigente nel nostro ordinamento per 72 anni, dal 1939 a oggi.

La novità principale risiede evidentemente nel fatto che sarà possibile rendere il servizio professionale con strutture di proprietà di soggetti non professionisti, i quali potranno investire capitali mirando al dividendo derivante dall'attività professionale svolta dai soci professionisti (o dai «professionisti dipendenti» della Stp, sempre che gli ordinamenti professionali consentano a un professionista di essere «dipendente non socio» di una società professionale).

È chiaro che questo scenario non è immaginabile a livello di strutture professionali di piccole dimensioni: che queste possano essere gestite in forma societaria o che si continui a gestirle nella forma dello studio associato, probabilmente poco importa. Anzi, come dimostrato negli articoli di questa pagina, è presumibile che lo studio associato continuerà a essere la forma preferita, per la sua semplicità, leggerezza e flessibilità.

Ragionando a livello di grandi dimensioni, invece, l'organizzazione delle professioni in senso societario potrebbe rappresentare una svolta epocale: da un lato, i grandi studi, che sono strutture costosissime, ma che spesso distribuiscono anche una notevole remunerazione ai loro professionisti "di maggioranza", potrebbero addirittura pensare a una qualche forma di quotazione.

D'altro lato, ed è qui probabilmente il vero problema, l'apertura del sistema professionale al capitale non professionale potrebbe comportare la creazione di veri e propri franchising della libera professione, con relativa vendita dei servizi professionali in negozi su strada o in centri commerciali o addirittura mediante corner nei supermercati. Ed è chiaro che qui non sarà tanto la forma societaria a far discutere, quanto il «decoro» della professione al cospetto di banchi di frutta, di scaffali di detersivi e di surgelatori di pesce: le regole deontologiche riusciranno a fare argine rispetto a questa possibile deriva?

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