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Questo articolo è stato pubblicato il 15 novembre 2011 alle ore 11:06.
La "riforma" delle professioni prevista dalla legge di stabilità rischia di avere un impatto traumatico sulle casse previdenziali delle categorie.
L'apertura alle società tra professionisti (Stp) disegna infatti scenari del tutto inediti e situazioni a oggi imprevedibili per l'impianto delle contribuzioni, destinate per ora a scontare un vuoto normativo da colmare al più presto. «Il problema del tutto evidente – dice Walter Anedda, della cassa dei dottori commercialisti – è che l'imputazione del reddito è diversa se parliamo di una persona fisica o di una società. Il reddito derivante da distribuzione di utili, a oggi, non è assoggettabile alla previdenza, quindi per le casse si apre un grande interrogativo. Io peraltro non credo che basterà un regolamento per colmare il vuoto normativo, forse nemmeno un Dpr». Anche la sorte del contributo integrativo resta in sospeso: «Oggi è calcolato sul volume d'affari del professionista – continua Anedda – un criterio evidentemente inapplicabile per le società. Sarà dovuto? Non sarà dovuto? E in che misura?».
La stessa delimitazione del reddito presenta problemi nuovi e sotto certi aspetti rischiosi: «Il futuro decreto – dice Paolo Saltarelli, presidente della cassa dei ragionieri – dovrà prevedere l'iscrivibilità dei contributi per le persone giuridiche. Mi auguro che qualunque scelta faccia il legislatore rimarremo comunque nell'area del reddito da lavoro autonomo e non in quella dell'attività di impresa». Questa eventuale conversione, infatti, avrebbe implicazioni molto sfavorevoli per i professionisti «perché il reddito sarebbe calcolato per competenza e non più per cassa – aggiunge Saltarelli – con le controindicazioni che è facile immaginare, compreso il versante delle contribuzioni previdenziali».
Di scelte di inquadramento importanti parla anche il neo presidente della Cassa forense, Alberto Bagnoli: «Il reddito da partecipazione agli utili societari – dice Bagnoli – oggi sfugge alla contribuzione previdenziale. È chiaro che servirà un intervento normativo in tempo utile per chiarire l'estensione degli obblighi previdenziali anche per l'esercizio della professione in forma associata». «L'alternativa – continua il presidente della cassa dei legali – avrebbe ricadute perniciose non solo in termini di entrate ma soprattutto sull'impianto delle casse, che oggi sono ispirate a principi di solidarietà».
E sullo sfondo resta da risolvere un'incompatibilità non ancora spazzata via dall'intervento sulla stabilità del bilancio dello Stato: «Tra i divieti tuttora vigenti per la nostra professione c'è quello di svolgere qualsiasi attività commerciale – chiude Bagnoli –, principio che non vedo come possa coniugarsi con la nuova possibilità di esercitare l'attività in forma societaria».
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