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Questo articolo è stato pubblicato il 09 dicembre 2013 alle ore 18:42.
L'ultima modifica è del 09 dicembre 2013 alle ore 20:27.

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E sono tre. Spunta un'altra proposta in casa Pd, oltre a quelle a firma di Edoardo Fanucci ed Ernesto Carbone, per tassare i profitti delle internet company per la vendita della pubblicità online. Si punta così a stringere il cerchio sugli effettivi profitti dei soggetti che operano con i grandi player del settore, come per esempio Google, che hanno sede legale all'estero.

Certo, il cammino è in salita. Il ritiro dell'emendamento presentato al Senato sempre alla legge di stabilità e sostenuto dal presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia (Pd), sembra – da alcune indiscrezioni circolate – aver incontrato il parere contrario del ministero dell'Economia. E, del resto, sulla materia c'è un problema di compatibilità a livello comunitario, che punta ad armonizzare la legislazione soprattutto sul fronte dell'Iva. Senza dimenticare che – a quanto risulta – gli stakeholder finora non sono stati interpellati.

Comunque la terza soluzione sottoscritta da Stefania Covello punta, invece, a tassare i profitti non sulla base dei costi sostenuti dalla controllata italiana ma sulla base di altri parametri che rispecchino effettivamente il fatturato. In pratica, si parte dalla considerazione che operazioni infragruppo relative alla pubblicità online i costi sostenuti dalla società italiana possano essere poco rilevanti per le strutture organizzative ridotte sis in termini di lavoratori occupati che di mezzi impiegati.

Così l'emendamento Covello traccia anche una possibile exit way che è quella di una procedura concordata con l'agenzia delle Entrate (in gergo tecnico si chiama ruling) per definire in modo più aderente alla realtà gli effettivi profitti ottenuti dalla controllata italiana dalla vendita di pubblicità online.

Ma c'è di più. La proposta vuole rendere completamente tracciabile l'acquisto di pubblicità online. L'obiettivo è quello di far transitare tutti i pagamenti tramite bonifico bancario o piostale dai quali risultino chiaramente i dati di chi beneficia del versamento.

Un meccanismo che considerando i volumi di fatturato di pubblicità online dovrebbe portare a una stima prudenziale – secondo la relazione tecnica che accompagna l'emendamento - di maggiori entrate per le casse dello Stato di circa 8 milioni di euro limitatamente «al principale gruppo multinazionale del settore», vale a dire Google.

Cifra a cui si arriva partendo da una raccolta pubblicitaria totale online pari a 1,57 miliardi di euro per il settore (anno 2011), di cui il 40% attribuibile alla società di Mountain View. Gli estensori dell'emendamento stimano che con questa nuova norma si otterrebbe «una remunerazione non inferiore al 4% del volume dei ricavi».

In questo modo si stima una base imponibile pari a «oltre 25 milioni di euro», sui quali le tasse concretamente ricavabili sarebbero pari a 8 milioni. Una cifra non certo destinata a spostare gli equilibri di finanza pubblica.

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