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Anouha, un villaggio nel segno del cacao

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Questo articolo è stato pubblicato il 15 maggio 2010 alle ore 19:32.
L'ultima modifica è del 16 maggio 2010 alle ore 17:11.

"Sono 40-50 semi per frutto, 60 al massimo. Vanno estratti con cura per non danneggiarli, poi devono fermentare qualche giorno, e quindi vanno essiccati all'aria e al sole. Li raccogliamo due volte l'anno e ci vogliono circa tre settimane perché i semi siano pronti per essere venduti. Ne servono parecchi per mettere insieme mille grammi, ma 900 cefeà al chilo è un prezzo che non vedevamo da molto tempo". Ebiye Mathieu, capo villaggio di Anouha, sorride soddisfatto, mentre accanto a lui gli uomini che mi ha indicato come "i miei più stretti consiglieri" annuiscono compatti. "Ora che il prezzo è stato fissato – prosegue - dipende tutto dal sole e dalle piogge delle prossime settimane".

Una costellazione di villaggi
Anouha è un villaggio come tanti dell'entroterra ivoriano. Un puntino all'interno di un sistema di villaggi, sorti per seguire l'estensione delle piantagioni. Un villaggio che non ha una storia molto diversa da quella del cacao per cui vive. Sei-settecento famiglie riunite intorno a una concessione agricola. Case di mattoni, di terra e di paglia, ai margini della brousse che viene tenuta a freno a colpi di machete. L'acqua è in fondo al pozzo, l'elettricità corre su fili che passano oltre ma quanto meno – concorda l'assemblea - la convivenza è pacifica. Non è un fattore trascurabile di questi tempi. I vestiti colorati e le acconciature delle donne tradiscono infgatti una certa complessità etnica: gli ivoriani baulé sono maggioranza, ma non mancano famiglie mandi del nord, miste e altre di origine maliana, liberiana e soprattutto burkinabé.

Una piantagione multietnica
Quasi un quarto della popolazione ivoriana è immigrata e una buona parte è arrivata negli anni '80 per lavorare nelle piantagioni. L'ondata xenofoba degli anni '90 ha avuto in molte zone un effetto dirompente ma ha risparmiato il villaggio. A chi è venuto qui a lavorare la terra da paesi molti più fragili, Anouha offre da almeno trent'anni una povertà decorosa priva dei drammi vissuti in altre regioni del paese. Inoltre, essendo quasi a metà strada tra i porti di Abidjan e San Pedro, ha il chiaro vantaggio di una posizione strategica per vendere facilmente la produzione agricola. Ovviamente di cacao.

Il modello Cote d'Ivoire
Come una rotellina invisibile, Anouha, fa parte di un sistema che in tutto il paese occupa 4 milioni di persone, genera un terzo delle esportazioni nazionali e produce il 40% del cacao mondiale. Un sistema che si replica migliaia di volte in altrettanti villaggi e che vale oltre un miliardo di dollari l'anno in valuta pregiata. E' il modello Cote d'Ivoire post coloniale, dove il cacao è la principale fonte di valuta estera per lo stato, e per il contadino l'unica integrazione alla vita di sussistenza a base di riso, mais, cassava e banane. Qui ad Anouha il cacao paga i vestiti e la birra, la scuola dei figli e le medicine.

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Una questione di equilibrio
Per i planteur di Anouha questa è la fase in cui ricevere il giusto equilibrio degli elementi. Quell'equilibrio di acqua e di sole che determina proprio in questi giorni quale la maturazione e dunque la qualità e la quantità di produzione del prossimo raccolto. Il prezzo unico fissato ad Abidjan sulla base degli andamenti del mercato è di quelli che fanno sperare. Tutti vogliono ottenere il massimo dai loro alberi in questo anno che promette 900 franchi Cfa per ogni chilo di semi (1,2euro). Non sono pochi in un paese in cui un insegnante benestante di città ne guadagna 300mila al mese.

Una rendita da proteggere
Ogni proprietario possiede o affitta uno o due ettari di terreno, e poiché in un ettaro crescono al massimo 800 piante, ciascuna delle quali produce fino a un chilo di semi, il calcolo grossolano dice che se tutto fila liscio un ettaro a piena produzione può arrivare a rendere fino a 750mila Cfa (900euro) per ogni anno di lavoro. Questo, naturalmente, senza dimenticare che le piante vanno cambiate ogni 30 anni, che producono solo a partire dal quarto anno, che bisogna costruire sopra di loro una barriera di piante ad alto fusto (banani ed eritrina) per proteggerle dal sole e dalla pioggia, che le formiche rosse e la "pourritoure-brune" che divorano il raccolto vanno tenute lontane a spese del coltivatore. Il tutto, infine, sperando che la guerra tra nord-sud combattuta in Costa d'Avorio fino al 2004 non costringa com'è già successo altrove ad abbandonare tutto per mettersi al sicuro.

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