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A Jos, il rompicapo Nigeria

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Questo articolo è stato pubblicato il 09 giugno 2010 alle ore 09:27.

Agguati nella notte, rapimenti e sparizioni, villaggi che bruciano nel nome della pulizia etnica e leader politico-religiosi che invocano vendetta. Nell'altopiano centrale della Nigeria - lungo la middle belt tra il nord musulmano e il sud cristiano - si consuma un nuovo capitolo dello scontro tra civiltà e culture che dilania il gigante dell'Africa occidentale.


Raid notturni nelle campagne
Mi trovo di fronte alle conseguenze della crisi quando raggiungo in auto Bukuru, un piccolo insediamento rurale venti chilometri a sud del capoluogo Jos. La pattuglia dell'esercito nigeriano all'ingresso del villaggio vigila ormai su scheletri di case bruciate e campi abbandonati. Ancora poche settimane fa, qui ci abitava una comunità di agricoltori di etnia byrom, almeno fino a quando sono diventati il bersaglio di un raid lanciato per uccidere. Trecento le vittime, vittime cristiane, poi la vendetta si è abbattuta sull'insediamento vicino, quello abitato in maggioranza da gente hausa-fulani di religione musulmana.

Escalation di violenza
Cinque, sei, qualcuno parla di ottocento morti complessivamente, difficile stabilire numeri precisi in questo paese. L'unica certezza è che le vittime sono soprattutto donne e bambini che corrono meno dei maschi adulti. Lo schema è sempre lo stesso: aggressione notturna lanciata da bande di giovani ben armati, fuoco alle case di terra e paglia, tentativo di fuga, vittime bruciate vive oppure finite a colpi di machete. Poi resta il silenzio e l'attesa: a Bukuru, per adesso, nessuno torna e nessuno arriva. I campi dei byrom attendono mentre le mandrie dei fulani girano al largo.

Rompicapo Nigeria
"Ci sono più di 200 etnie, un'infinità di lingue e dialetti, i musulmani qui si sentono discriminati dal governo locale e i cristiani temono l'estremismo islamico". La Nigeria è un paese molto complicato mi spiegano come se non si vedesse i mediatori culturali della comunità di Rentya, uno dei centri a sostegno del dialogo interreligioso che cerca di frenare l'escalation dell'odio. Jos è una città di prima linea in questa guerra strisciante e dal potenziale incendiario. E' la capitale dello stato e la sede del governo territoriale. Qui le elezioni hanno l'effetto di una fiamma che si avvicina alla benzina: nel novembre 2008, proprio all'indomani del rinnovo del consiglio di stato di Plateau, la fiammata è stata violentissima. La rabbia dei musulmani, che accusavano l'amministrazione di brogli ai seggi, si è scatenata in un clamoroso assalto al convento dei padri agostiniani dove prima che arrivasse l'esercito, i seminaristi si sono difesi con bastoni e coltelli per oltre cinque ore .

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La Nigeria dal delta del Niger al Sahel

Gigante dell'Africa occidentale la Nigeria è una federazione di 36 stati molto diversi tra loro per

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Tags Correlati: Apurimac | Consiglio di Stato | Godwin Okoko | Jos | Onlus | Pubblica Amministrazione |

 

Demografia e crisi
Un tempo al centro di un'attività mineraria ormai tramontata, la capitale dello stato di Plateau è ora il punto di innesco della crisi tra il mondo dei pastori-allevatori del nord musulmano e gli agricoltori stanziali del sud cristiano. Uno schema che si ripete in circostanze diverse in diversi stati dell'Africa occidentale ma che in Nigeria assume i caratteri più estremi e violenti. Crisi economica, corruzione, ingiustizia sociale estrema, ma anche inaridimento dei pascoli settentrionali e pressione demografica sono i fattori che rendono sempre più difficile la convivenza dei gruppi tribali. E la politica non aiuta: le divisioni religiose si prestano a farsi strumento della lotta per il potere mentre l'islamismo jihadista soffia dai confini del nord. In un paese di 150 miloni di abitanti di cui la metà sono giovani disoccupati, armare gli eserciti improvvisati degli scontri etnico-religiosi non è poi un'impresa difficile.

Peacekeeping e peacemaking
Dopo le violenze dei mesi scorsi, il coprifuoco e soprattutto l'invio di truppe fresche da Abuja ha imposto il peacekeeping anche nei quartieri più caldi. Al mercato del legname, ben visibili tra moschea e convento, stazionano i blindati in assetto da combattimento. In città la gente resta è scettica, pensa sia solamente una tregua. Intanto però qualcuno prova ad andare oltre: un gruppo di associazioni locali sostenute da finanziamenti internazionali è al lavoro per costruire il peacemaking tra le comunità. Gli americani sostengono 16 progetti di quartiere in altrettante aree sensibili mentre a Rentya, Jos-nord, è presente un progetto che i nigeriani portano avanti con il sostegno italiano.

Contromisure a livello locale
Le contromisure innalzate per frenare il dilagare della violenza mi racconta un gruppo di donne al lavoro intorno a uno sponge-pudding, sono quelle del dialogo interreligioso, del lavoro e dell'istruzione professionale. I corsi di catering e di hair-styiling, quello di computer e di cucito, ma anche le lezioni di calcio "con allenatore professionista" e di canto, sono gli strumenti pratici offerti a prezzi popolari per raccogliere cristiani e musulmani all'interndo delle stesse classi. Godwin Okoko, il project officer per l'onlus italiana Apurimac resta ottimista nonostante tutto: "La distanza genera diffidenza. Noi offriamo corsi e momenti di svago e così costringiamo i diversi gruppi religiosi a stare insieme. Si tratta proprio di impedire che alla prima crisi i vicini di casa non si parlino e si attacchino a vicenda. Adesso che la crisi è più acuta abbiamo costruito un meccanismo comunitario che riunisce gli anziani dei due gruppi". E funziona. Quando il mercato di Jos-Nord è stato preso d'infilata dalla violenza a Rentya l'imam e il prete hanno collaborato e il quartiere è rimasto mentre tutt'intorno la città veniva travolta dalla violenza.

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