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Nei bambini di strada il dramma e la ricchezza di un paese

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Questo articolo è stato pubblicato il 04 giugno 2010 alle ore 15:02.

Yunus Safari, 13 anni, e' un bambino di Kibera, il più grande slum, baraccopoli, del Kenya. Racconta di esser stato cacciato dalla sua famiglia: il padre alcolizzato ha dovuto pagare per un incidente stradale dilapidando i pochi risparmi e precludendo così al piccolo Yunus la possibilità di continuare gli studi. Padre e madre lo ripudiano. Yunus diventa così un ragazzo di strada: dorme nei cassettoni della spazzatura, vive di espedienti. Ruba e rivende generatori di elettricità. La fame lo attanaglia spesso. Con altri bimbi, va a caccia di cibo, il più delle volte a frutta e verdura rimaste invendute alla chiusura dei mercati.

Yunus Safari è uno dei bimbi che al Ndugu Mdogo Rescue Center spera di poter riscattare un'infanzia fatti di enormi difficoltà. E' un bimbo che ha le idee chiare: sorprendentemente maturo, molto sveglio, capace di percepire i contorni della sua esistenza e della condizione famigliare e sociale che lo ha costretto a vivere così, di stenti, in una delle più grandi bidonvilles d'Africa.
Libera, nella periferia sud-occidentale di Nairobi, ha un milione di abitanti. Il paesaggio e' identico a quello delle altre baraccopoli d'Africa: tuguri, capanne di legno e plastica, bugigattoli di lamiera, strade sterrate lungo le quali crescono montagne di spazzatura. Rigagnoli di acque luride che scorrono nel fango in un paesaggio di desolazione e di miasmi.

Ma a Libera, di bimbi come Yunus, attenti, svegli, ce ne sono molti. Come lui condannati a dover lottare per un minimo di dignità. E' come se un'impietosa selezione naturale li avesse trasformati in super-bimbi: hanno resistito, sono sopravvissuti, ce l'hanno fatta e nulla sembra poterli fermare.
Come Yunus che e' convinto di diventare ministro dell'educazione (" perché dall'educazione dipende tutto il resto, lo sviluppo di un paese, il suo futuro"), Daniel detto "Masai" pure 13 anni, un bimbo giusto dalle grandi pianure, abbandonato dalla famiglia, carico di affetto e di progetti. Vuole diventare medico. E poi Paul, anche lui tredicenne, lo sguardo triste, una vita imbottita di drammi, che gli danno tanta forza. E' stato rapito, non ha potuto andare a scuola ma ora sta cercando di ricuperare ("cacth up") seguendo dei corsi alla Ndugu Mdogo, il centro gestito dal prelato italiano Renato Kizito Sesana. "Paul e' uno dei bimbi più brillanti che io abbia mai incornato", ci racconta un operatore sociale incontrato a Kibera.
Vite che si incrociano e che si assomigliano. Vite dove la voglia di farcela e' in lotta continua, quotidiana, con condizioni sociali, economiche ma soprattutto umane, proibitive. A Kibera sembra in fondo giocarsi, come se fosse una gigantesca metafora, il destino di un continente, tra desiderio di riscatto e un percorso irto di ostacoli che spesso appaiono insormontabili.

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© Contrasto

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