Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 14 giugno 2010 alle ore 16:35.
Migliaia di piccole case basse, di mattone e lamiera. Traffico di auto scassate e motociclette cinesi a fare da taxi tra una folla di passanti che non conosce il marciapiede. Acqua corrente solo per pochi, latrine nei fossi ed elettricità a fasi alterne, New Belle è insomma un'afosa vivace periferia qualsiasi dell'Africa centrale, o lo sarebbe se non fosse per la statua del calciatore africano che domina la rue du Roi Nioya.
Un leone tricolore
Maglia verde, calzoncini rossi, calze gialle: tricolore Camerun a grandezza naturale. L'artista gli ha imposto una mascella che non esiste e spigoli che non si ritrovano nella realtà, ma il numero 9 dei "Leoni indomabili" dipinto in giallo sulla schiena non può essere di nessun altro. I passanti, poi, confermano volentieri che si tratta dell'eroe, "oui, oui" è proprio Eto Fil's. Così chiamano a Douala il nostro Samuel Eto'o, l'eroe con la valigia di cartone che ha lasciato il quartiere da ragazzino e che ora colleziona trofei.
Il motore dei sogni
Cresciuto negli anni '80 tra queste vie di terra e asfalto, Samuel Eto'o è un simbolo di successo planetario, l'orgoglio africano versione Camerun, il motore dei sogni per migliaia di ragazzini dei quartieri poveri in un paese in declino, dove i padri trascinano le loro giornate tra il porto e i mercati, cercando di mettere insieme qualcosa per tirare avanti. Con Eto Fil's è tutto diverso: lui vince in Europa, vive come le blancs e quando compera una casa da star nel centro di Milano, a New Bell i ragazzini te lo vengono a dire di corsa con l'aria felice come fossero parte dell'affare.
Il pallone si è sgonfiato
La quotidianità purtroppo è molto distante dal sogno. A Italia ‘90 la nazionale del Camerun di Roger Milla aveva sfiorato la gloria e autorizzato grandi speranze. Si era diffusa l'idea che al successo dei calciatori africani potesse corrispondere una crescita del loro sistema calcio. Errore madornale, vent'anni più tardi il pallone si è sgonfiato, proprio come tutto il resto. Samy Outta, amico del campione e allenatore volontario della squadra del quartiere mi spiega che "l'emigrazione dei campioni africani e la diffusione della tv via cavo ha rapidamente strozzato il campionato nazionale". Qui non è rimasto niente, nessuno sponsor (ora ci riprova la telefonia), nessun contratto, nessuna federazione nazionale a occuparsi dei ragazzi: insomma, o diventi un campione di livello europeo, o te la cavi emigrando nei paesi arabi e del Golfo, oppure resti in patria e allora di calcio non ci vivi proprio.